La Repubblica - 22/6/14
MARTIN VISSER, RONALD VAN GESSEL
«La ripresa c’è da nove mesi, ma è
ancora debole e distribuita in modo squilibrato. E vulnerabile.
Rischiamo ancora qualche incidente nell’economia globale. Nel caso,
tutto cambierebbe in fretta, magari con tracolli sui mercati
finanziari e rischi geopolitici. I nodi restano lavoro e inflazione
bassa. E l’unione monetaria non è ancora completata. Bisogna
salvare l’euro. Senza, con le valute nazionali, staremo tutti molto
peggio, a nord come a sud». Così il presidente della Bce Mario
Draghi, in questa intervista a caldo sulle sfide per l’Europa.
Presidente, il capo dell’Eurogruppo
Dijsselbloem ha detto di recente che la crisi è finita. Che cosa ne
pensa?
«La ripresa è ormai in corso da 9
mesi. Ma è ancora debole e distribuita in modo disuguale
nell’eurozona. Ed è vulnerabile. Possono verificarsi incidenti
nell’economia globale che cambierebbero rapidamente la situazione.
Potrebbe arrivare una disruption dei mercati finanziari, o rischi
geopolitici. Inoltre, la disoccupazione si sta stabilizzando, ma è
ancora molto alta. Già solo questo dramma pone un rischio alla
ripresa perché riduce la domanda dei consumatori ».
Rispetto al Regno Unito e agli Usa, la
ripresa nell’eurozona è relativamente debole. Perché?
«La nostra ripresa è a uno stato
iniziale rispetto agli Usa, al Regno Unito e al Giappone. Perciò la
Bce ha adottato alcune misure il 5 giugno: i tassi più bassi (e
tasso di deposito negativo per le banche), l’appoggio alle banche
subordinato alla concessione di credito, la preparazione di un
programma di acquisti di titoli. In aprile osservai, ad Amsterdam,
che tre situazioni potrebbero spingere la Bce all’azione. La prima,
una stretta della politica monetaria, che si riflette in un aumento
dei tassi a breve con conseguenze su crescita e stabilità dei
prezzi. La seconda, il continuo deterioramento del credito. Già
debole da lungo tempo. La terza, un peggioramento delle prospettive
di stabilità dei prezzi a medio termine».
Tre circostanze negative simultanee?
«Abbiamo risposto dapprima alle prime
due. La bassa inflazione persiste. Se durerà troppo a lungo, il
risanamento nei Paesi in crisi sarà più difficile. I salari in
quelle Nazioni dovranno calare per migliorare la competitività».
Cioè il debito alto pesa di più con
l’inflazione bassa?
«Certamente, ecco un’altra
conseguenza della bassa inflazione. La riduzione dei livelli di
debito, molto importante in grandi parti dell’eurozona, diventa più
difficile con la bassa inflazione. Parlo del debito privato come di
quello sovrano».
Gli europei del nord si sentono
obbligati a pagare per gli errori degli europei del sud. Lei ha
comprensione per questo punto di vista?
«Sono ben consapevole di questo
conflitto. Pochi mesi fa argomentai a una conferenza negli Usa che
esistono squilibri di prima grandezza tra i Paesi dell’eurozona,
tra grandi debitori e grandi creditori. E che non è mai stato un
obiettivo dell’Unione monetaria europea creare creditori e debitori
permanenti. Bisogna puntare a un’Unione equilibrata. Un ospite
americano replicò che negli Usa il problema non si pone. Stati come
l’Oklahoma sono sempre stati debitori mentre New York sempre
creditore. Ecco il cuore del problema. I debiti di tutti i cittadini
degli Usa sono considerati uguali, prescindendo dal loro luogo di
residenza negli Stati Uniti».
Perché gli Usa sono un’unione
politica e noi europei no?
«Senza dubbio. Gli olandesi
percepiscono un problema quando pagano per i greci, non quando pagano
per altri olandesi. Ma concentriamoci un attimo su questo concetto di
“pagare”. Non è poi così chiaro che alcuni Paesi abbiano pagato
per altri. In Grecia, c’è stato un condono di debiti dovuti al
comparto finanziario, ma non un default ulteriore. All’eurozona
sarebbe costato molto di più salvare le proprie banche».
La Grecia, caso limite, riuscirà a
ripagare i suoi debiti?
«Se la Grecia continuerà con le sue
riforme strutturali, se riporterà ordine nelle sue pubbliche finanze
e migliorerà la sua competitività, la crescita aumenterà. In
questo caso, Atene riuscirà a rimborsare. Nei prossimi 5 anni, il
servizio sul debito greco è minore di quello del Belgio. La maggior
parte del debito greco ha interessi bassi e tempi di maturazione
lunghi».
La Bce non ha ancora acquistato titoli
sovrani. Che cosa deve accadere per convincervi a cominciare ad
acquistarli?
«Sarebbe la risposta al terzo scenario
che ho menzionato prima. Al momento comunque ci concentriamo sulle
misure annunciate il 5 giugno ».
E’ legale per la Bce acquistare
titoli sovrani?
«Senza dubbio è possibile nell’ambito
del nostro mandato, se gli acquisti sono mirati al conseguimento
della stabilità dei prezzi. Non ci è permesso fornire finanziamento
monetario agli Stati».
Lei è stato felice della decisione
unanime (Bundesbank compresa, ndr) presa il 5 giugno. L’unanimità
sarà possibile anche su un “quantitative easing”?
«Ogni ipotesi sarebbe prematura, un
quantitative easing può includere titoli sovrani ma anche prestiti
privati. Ne discuteremo a tempo debito ».
La sua dichiarazione, “salvare l’euro
a ogni costo”, con l’annuncio del programma di acquisto di titoli
sovrani, fu una svolta nell’eurocrisi. E’ ancora necessaria o no?
«Il programma delle Outright monetary
transactions (Omt) è mirato a un rischio, specifico, di spaccatura
dell’eurozona».
Può succedere?
«Nel luglio 2012, i motivi di
preoccupazione erano più che sufficienti. Dissi allora a Londra che
un errore di molti era sottovalutare quanto capitale politico è
stato già investito nell’euro. Poco prima di queste mie parole, i
leader politici europei in un loro summit presero impegni totalmente
vincolanti, nel cui contesto fu creata l’Unione bancaria».
Le Omt sono come la bomba atomica, un
deterrente da minacciare ma che non sarà mai usato?
«I mercati hanno reagito all’annuncio
delle Omt in modo da rendere non necessario il ricorso al programma.
Gli spread tra i tassi d’interesse dei titoli sovrani dei Paesi
meridionali dell’eurozona e la Germania si sono ristretti in modo
nettissimo. E’ stato un risultato che nessun’altra misura avrebbe
conseguito. Per essere credibili, dobbiamo essere sicuri che potremmo
usare lo strumento. Non è un bluff».
Ma se lei dà tanto tempo ai leader
politici, loro non sentiranno più il bisogno di varare riforme in
fretta.
«Sì e no. Abbiamo il mandato di
salvaguardare la stabilità dei prezzi. Non siamo responsabili, noi
della Bce, per come i politici usano il tempo che hanno a
disposizione. Ma guardate all’entità delle riforme dal 2012: i
progressi sono considerevoli. La Spagna ha ristrutturato il suo
settore bancario e il mercato del lavoro. Portogallo, Irlanda
rappresentano altri esempi, persino in Grecia i progressi sono
notevoli».
Lei dice spesso che l’euro è
irreversibile.
Spetta a lei dirlo o ai politici?
«Il nostro mandato, insisto, è la
stabilità dei prezzi. E’ evidente che un collasso dell’euro
minaccerebbe la stabilità dei prezzi, agiamo secondo il nostro
mandato».
Salvando l’euro ha preso una
decisione politica?
«No. Non era un tema politico.
Guardiamo indietro, al 2012: alti livelli dei tassi sui mercati
danneggiavano l’economia reale e il settore bancario. Tra le
conseguenze possibili c’era una nuova crisi del credito».
Il coordinamento delle politiche
economiche nell’eurozona è solo un primo passo?
«Sì, senza dubbio».
Quali saranno i prossimi passi?
«Questa sì è materia di decisioni
politiche. La sovranità su accordi di bilancio è stata condivisa.
Bisognerebbe fare così anche per mercato del lavoro e competitività,
burocrazia e mercato interno. La sovranità va condivisa al di sopra
del livello nazionale. Ci sono diverse opzioni: dare più poteri alla
Commissione Ue, o agli Stati membri nel Consiglio europeo, o creare
nuove istituzioni europee. Non spetta a me decidere».
L’unione monetaria allora non è
completata?
«No, molto ancora serve per una
perfetta unione monetaria. Il prossimo passo è subordinare anche le
riforme strutturali a una disciplina europea».
Tornando al suo esempio dell’Oklahoma
negli Usa, quale solidarietà è necessaria nell’eurozona?
«Gli Usa sono un solo Paese,
l’eurozona no. Data la nostra struttura ben più complessa,
dobbiamo cercare un sistema che assicuri che la politica economica
sia tema d’interesse comune».
Ma il risultato delle elezioni europee
è anche un no al trasferimento dei poteri. Ha una soluzione al
dilemma?
«Siamo davvero sicuri che staremmo
meglio, se avessimo ancora le valute nazionali? Negli anni ‘80 e
‘90 avemmo molte svalutazioni, con un’inflazione spesso alta.
Oggi abbiamo un altissimo grado di stabilità dei prezzi e un basso
tasso d’inflazione. Abbiamo opportunità enormi per crescita e
lavoro. Non è colpa dell’euro se le politiche economiche sono
state sbagliate in alcuni Paesi. C’è chi vorrebbe tornare 30 o 40
anni indietro, io preferisco andare avanti».
La gente vede nell’euro la causa di
crisi e disoccupazione «Crisi e disoccupazione sono il risultato di
una gravissima difficoltà finanziaria e in parte di politiche
economiche errate. L’euro non le ha causate. Dobbiamo porre fine
alla crisi nell’eurozona e tornare a creare crescita e lavoro».
Ma molti vertici europei non sono
serviti a nulla: che fare, ora?
«Non possiamo accettare questo
presente, di bassa crescita e di insufficiente creazione di posti. Ma
non dobbiamo rimpiangere un passato che non può essere ricreato né
essere considerato migliore del presente. Dobbiamo lavorare per il
futuro, e creare non solo stabilità ma anche crescita e lavoro».
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