L'elezione di Orfini alla presidenza del partito e l'apertura al
dialogo del M5S rafforzano la pax renziana. Malumori tra i bersaniani,
ma il loro ingresso in segreteria non sembra essere in discussione
L’assemblea nazionale di sabato scorso è finita come voleva
Matteo Renzi: con un sigillo sul 40,8 per cento delle Europee, che ha
ridotto praticamente a zero lo spazio per il dissenso interno al Partito
democratico. Troppo forte il premier-segretario in questa fase, troppo
delicato il passaggio che i dem si trovano di fronte, con il rischio di
deludere le aspettative degli elettori.
Quello che Renzi non si aspettava è l’aiuto arrivato da Grillo e
Casaleggio. L’apertura del Movimento sulla riforma elettorale non
consente solo al premier di rafforzare la propria posizione contrattuale
sul tavolo con Forza Italia, lasciando prospettare l’apertura di un
diverso fronte di dialogo, ma ridimensiona anche le pretese di chi –
dentro il partito – si presentava come possibile interlocutore proprio
con l’area che comprende il M5S, i suoi dissidenti e Sel. «Con il
riconoscimento di Renzi come interlocutore, legittimato dal forte
consenso avuto alle elezioni – è il ragionamento che si fa al Nazareno –
i presunti pontieri alla Civati non hanno più margini di manovra». Men
che meno i senatori dissidenti, che infatti si preparano a un mesto
rientro, o chiunque coltivi ancora l’idea di un asse politico
alternativo a quello attuale: qualsiasi scelta è nelle disponibilità
esclusive del premier.
La scelta di Matteo Orfini come presidente dell’assemblea nazionale è
solo l’ultima conferma in ordine di tempo del decisionismo con cui
Renzi gestisce la pax interna. Una decisione mai stata veramente in
discussione – almeno da quando il premier è rientrato dal suo viaggio
orientale –che ha lasciato certamente strascichi nella sponda bersaniana
della minoranza, ma senza per questo fornire alibi per mettere in
discussione i nuovi equilibri interni. Ieri sera Area riformista si è
riunita per valutare il quadro politico seguito all’assemblea di sabato,
con i Giovani turchi ormai stabilmente destinati a occupare il ruolo di
minoranza politicamente più rilevante nel Pd (oltre al presidente,
possono contare su un ministro e un sottosegretario). Difficilmente
l’ingresso dell’area cuperlian-bersaniana in segreteria sarà messo in
discussione, semmai potranno chiedere solo più tempo per convincere
anche i più reticenti, come Stefano Fassina. D’altra parte, basta vedere
l’accoglienza gelida riservata sabato dai delegati all’ex responsabile
economico della segreteria bersaniana, per capire come la sua stella non
brilli più come un tempo.
Quello di Area riformista è ormai l’ultimo tassello rimasto per
completare il rinnovamento della squadra del Nazareno. Il vicesegretario
Lorenzo Guerini è disposto a concedere ancora qualche giorno di
riflessione, ma non oltre questa settimana, per arrivare alla nomina
della segreteria entro venerdì o, al massimo, lunedì prossimo. Quel che è
certo è che se i bersaniani pensano di poter compensare la mancata
scelta di uno di loro alla presidenza del partito con un posto “pesante”
in segreteria, rimarranno ancora una volta delusi: i posti chiave
rimarranno in mano ai fedelissimi del segretario.
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