La sconfitta del candidato democratico nasce dal rifiuto di una
città di sinistra verso un partito che non lo è più? Questo è solo il
desiderio di chi non accetta l'approdo del Pd di Renzi a una sinistra
moderna, maggioritaria ed europea. Che ha vinto anche a Livorno.
Grazie a un importante evento verificatosi nel 1921, da Livorno
si riapre (per pochi appassionati della materia) un dibattito di grande
attualità: che cos’è la destra, che cos’è la sinistra.
A quanto pare, in una variegata area che va dai tifosi della curva
Nord ad alcuni esponenti della minoranza Pd avendo come baricentro un
paio di opinion makers del Fatto, l’esito delle
amministrative livornesi va letto così: una città autenticamente di
sinistra ha voltato le spalle a un partito che di sinistra non ha più
nulla. Per cui la sconfitta di Ruggeri
non vale come dato locale bensì come metafora della mutazione genetica
che ha consentito a Matteo Renzi di rifondare la Dc lasciando orfano il
popolo che fu di Berlinguer (altro pilastro delle recenti revisioni
storiche).
L’originale lettura nazionale del caso Livorno è aiutata dal profilo
del neoletto sindaco: come altri prima di lui approdati nel ceto
politico Cinquestelle, Nogarin rivendica una biografia ambientalista e
di sinistra, e nonostante i bizzarri endorsement ricevuti dall’estrema destra rivendica di occupare lo spazio lasciato libero dal Pd.
Che questo spazio a Livorno come a Perugia fosse stato lasciato
aperto aperto, e fosse ampio, lo dicono i fatti. Pretendere che
c’entrino qualcosa destra e sinistra, o il nuovo Pd di Renzi, serve solo
ad alimentare il wishful thinking di intellettuali senza casa né
chiesa che contro ogni evidenza (e sfidando gli insulti grillini)
ancora sperano di aver trovato sponda in Grillo e Casaleggio. Ultimo
Curzio Maltese, che come la Spinelli ancora punta alla collaborazione
europea tra Tsipras e M5S mentre questi ultimi stringono ormai i bulloni
del patto con Nigel Farage.
La sostanza è che in questo pezzetto d’Italia non ci si rassegna alla
realtà squadernata dal 40,8 per cento del Pd: non mutazione genetica
bensì approdo, lungamente atteso e coltivato, infine reso possibile
dalla leadership e dalla popolarità post-ideologica di Renzi, a una
sinistra moderna, maggioritaria, riconosciuta e premiata come tale da
progressisti italiani giovani e anziani, osservata e perfino invidiata
dai tradizionali partiti della sinistra europea.
Un partito, lo ricordo, che il 25 maggio a Livorno ha preso il 53 per
cento, contro il 22,5 di Grillo e il 7,2 di Tsipras. A riprova che i
livornesi, più che custodi dello spirito del ’21, sono banalmente
elettori liberi che sanno giudicare: da quali sindaci farsi amministrare
in città, e da quale sinistra farsi governare a Roma e in Europa.
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