giovedì 5 giugno 2014

E adesso il Mose. A Renzi tocca inseguire i corrotti

Francesco Lo Sardo 
Europa  


Dopo Milano, lo scandalo che travolge Galan e Orsoni rende drammatica la rincorsa del governo alle misure anticorruzione



Si dice Mose, si pensa Expo 2015: quel mega-cantiere da un milione di metri quadri a nord ovest di Milano con fine lavori prevista tra 329 giorni, su cui è l’Italia intera a mettere la faccia. Due scandali, due storie di mazzette. Due vicende che però incrociano diversamente il cammino del governo. Su Expo Matteo Renzi, attraverso la concessione di poteri speciali per decreto al capo dell’Anticorruzione Cantone, che l’ha incontrato e lo descrive «turbato» per l’inchiesta Mose, sta per intervenire pesantemente, questione di ore: perché sui tempi di realizzazione delle opere siamo già in emergenza e in gioco c’è la credibilità del paese.
L’inchiesta che ha portato a 35 arresti, il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni ai domiciliari e una richiesta d’arresto per l’ex governatore forzista Giancarlo Galan può esser invece classificata come caso che riguarda «soprattutto la magistratura», per citare il ministro dell’ambiente Galletti. L’indagine «accerterà le responsabilità e l’opera che salva-Venezia andrà completata entro i tempi previsti senza aumento dei costi», dice il ministro Lupi. Per quanto anche l’indagine veneziana racconta, come Expo, di «procedure che, così come sono formulate, non funzionano fino in fondo», ragiona Galletti. Ecco il punto.
«L’inchiesta sul Mose che segue quella su Expo ci chiede nuove regole che mettano fine per sempre alla corruzione», nota come tanti nel Pd Alessandra Moretti. Le opere pubbliche, la burocrazia, il rallentamento da cui la perenne emergenza e un sistema di procedure che così, «anche quando esiste, perde di efficacia». Perciò l’affaire Mose che esplode rilancia il “caso” Expo: da cui Renzi intende uscire ampliando le competenze dell’Anticorruzione dopo aver istituito a palazzo Chigi un ufficio di coordinamento tecnico-amministrativo per la realizzazione dell’Esposizione e dopo aver chiesto a Cantone di assumere il ruolo di «supervisore» delle procedure.
Ma per essere un vero «supervisore» e salvare Expo Cantone, nominato dal governo Renzi capo dell’Authority il 27 marzo, ha bisogno di strumenti pesanti. Oggi l’Anticorruzione (nata sulla carta sotto il governo Monti e lì rimasta fino all’era Renzi) manca degli altri quattro componenti che devono affiancare Cantone. Un massimo di trenta dipendenti, più dieci esperti esterni. Una normativa sterminata da far rispettare alla mastodontica pubblica amministrazione italiana, dal livello più basso alle sue vette apicali. E poi un nemico invincibile – nella stravecchia logica delle controllate e partecipate – nel caso dell’Esposizione frutto della più perversa inventiva dei governi Berlusconi-Tremonti: Expo è una società per azioni, ma pubblica, 40 per cento ministero dell’economia, 20 comune di Milano, 20 regione Lombardia, 10 provincia di Milano…
La storia di mazzette su Expo, che rischia di far saltare il programma dei lavori, è in fondo la storia di un uso deviato dei poteri dentro la società Expo usata come un mezzo, uno strumento per scalare i vertici di Infrastrutture lombarde (signora della viabilità di Expo con “il Ponte” e lavori per 112 milioni) a sua volta società per azioni e anch’essa pubblica: pensata da Formigoni governatore e interamente partecipata dalla regione Lombardia.
Diceva Cantone qualche giorno fa: «La maggior parte degli appalti è stata data da una società privata, Infrastrutture, che non aveva obblighi di rispettare la legge anticorruzione». E l’Authority era stata pensata per vigilare sul rispetto delle norme anticorruzione nella pubblica amministrazione. A sua volta Beppe Sala, ora commissario unico di Expo, è un commissario che però non ha poteri per revocare gli appalti all’imprenditore Maltauro (che ha ammesso di aver pagato mazzette). Se anche li avesse, prima di fermare i lavori per 227 milioni su vie d’acqua e servizi che Maltauro sta eseguendo in rete con altre aziende, «occorre capire come salvaguardarne l’operatività e arrivare a fine dei lavori».
L’intreccio politica-impresa ovvero politica e affari, da recidere attraverso le privatizzazioni, produce questi mostri. Ormai occorre uno “zar “per Expo, ma senza tagliare questi nodi l’emergenza resterà la nostra condanna. Sempre nella tenaglia tra opere incompiute e lo spettro dei supercommissari alla Bertolaso.

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