Dopo Milano, lo scandalo che travolge Galan e Orsoni rende
drammatica la rincorsa del governo alle misure anticorruzione
Si dice Mose, si pensa Expo 2015: quel mega-cantiere da un
milione di metri quadri a nord ovest di Milano con fine lavori prevista
tra 329 giorni, su cui è l’Italia intera a mettere la faccia. Due
scandali, due storie di mazzette. Due vicende che però incrociano
diversamente il cammino del governo. Su Expo Matteo Renzi, attraverso la
concessione di poteri speciali per decreto al capo dell’Anticorruzione
Cantone, che l’ha incontrato e lo descrive «turbato» per l’inchiesta
Mose, sta per intervenire pesantemente, questione di ore: perché sui
tempi di realizzazione delle opere siamo già in emergenza e in gioco c’è
la credibilità del paese.
L’inchiesta che ha portato a 35 arresti, il sindaco di Venezia
Giorgio Orsoni ai domiciliari e una richiesta d’arresto per l’ex
governatore forzista Giancarlo Galan può esser invece classificata come
caso che riguarda «soprattutto la magistratura», per citare il ministro
dell’ambiente Galletti. L’indagine «accerterà le responsabilità e
l’opera che salva-Venezia andrà completata entro i tempi previsti senza
aumento dei costi», dice il ministro Lupi. Per quanto anche l’indagine
veneziana racconta, come Expo, di «procedure che, così come sono
formulate, non funzionano fino in fondo», ragiona Galletti. Ecco il
punto.
«L’inchiesta sul Mose che segue quella su Expo ci chiede nuove regole
che mettano fine per sempre alla corruzione», nota come tanti nel Pd
Alessandra Moretti. Le opere pubbliche, la burocrazia, il rallentamento
da cui la perenne emergenza e un sistema di procedure che così, «anche
quando esiste, perde di efficacia». Perciò l’affaire Mose che
esplode rilancia il “caso” Expo: da cui Renzi intende uscire ampliando
le competenze dell’Anticorruzione dopo aver istituito a palazzo Chigi un
ufficio di coordinamento tecnico-amministrativo per la realizzazione
dell’Esposizione e dopo aver chiesto a Cantone di assumere il ruolo di
«supervisore» delle procedure.
Ma per essere un vero «supervisore» e salvare Expo Cantone, nominato
dal governo Renzi capo dell’Authority il 27 marzo, ha bisogno di
strumenti pesanti. Oggi l’Anticorruzione (nata sulla carta sotto il
governo Monti e lì rimasta fino all’era Renzi) manca degli altri quattro
componenti che devono affiancare Cantone. Un massimo di trenta
dipendenti, più dieci esperti esterni. Una normativa sterminata da far
rispettare alla mastodontica pubblica amministrazione italiana, dal
livello più basso alle sue vette apicali. E poi un nemico invincibile –
nella stravecchia logica delle controllate e partecipate – nel caso
dell’Esposizione frutto della più perversa inventiva dei governi
Berlusconi-Tremonti: Expo è una società per azioni, ma pubblica, 40 per
cento ministero dell’economia, 20 comune di Milano, 20 regione
Lombardia, 10 provincia di Milano…
La storia di mazzette su Expo, che rischia di far saltare il
programma dei lavori, è in fondo la storia di un uso deviato dei poteri
dentro la società Expo usata come un mezzo, uno strumento per scalare i
vertici di Infrastrutture lombarde (signora della viabilità di Expo con
“il Ponte” e lavori per 112 milioni) a sua volta società per azioni e
anch’essa pubblica: pensata da Formigoni governatore e interamente
partecipata dalla regione Lombardia.
Diceva Cantone qualche giorno fa: «La maggior parte degli appalti è
stata data da una società privata, Infrastrutture, che non aveva
obblighi di rispettare la legge anticorruzione». E l’Authority era stata
pensata per vigilare sul rispetto delle norme anticorruzione nella
pubblica amministrazione. A sua volta Beppe Sala, ora commissario unico
di Expo, è un commissario che però non ha poteri per revocare gli
appalti all’imprenditore Maltauro (che ha ammesso di aver pagato
mazzette). Se anche li avesse, prima di fermare i lavori per 227 milioni
su vie d’acqua e servizi che Maltauro sta eseguendo in rete con altre
aziende, «occorre capire come salvaguardarne l’operatività e arrivare a
fine dei lavori».
L’intreccio politica-impresa ovvero politica e affari, da recidere
attraverso le privatizzazioni, produce questi mostri. Ormai occorre uno
“zar “per Expo, ma senza tagliare questi nodi l’emergenza resterà la
nostra condanna. Sempre nella tenaglia tra opere incompiute e lo spettro
dei supercommissari alla Bertolaso.
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