Mario Gorlani
C’è polemica anticasta
e polemica anticasta, e quella che molti – il Fatto Quotidiano di
Travaglio in prima fila – hanno sollevato contro l’emendamento
che ha proposto di riconoscere anche ai componenti del “nuovo”
Senato le stesse immunità che l’art. 68 Cost. riconosce ai
deputati, appare francamente incomprensibile e fuorviante.
L’immunità
parlamentare è un istituto antico e comune a tutti gli ordinamenti,
il cui scopo era (ed è) quello di salvaguardare la sovranità delle
Camere e la loro funzionalità e metterle al riparo da un uso
strumentale di talune misure restrittive della giustizia penale da
parte del potere giudiziario, che potrebbe alterare gli esiti di
fondamentali deliberazioni. In Italia, come ben sappiamo, l’immunità
è stata abusata oltre ogni dire da una classe politica che l’ha
trasformata, spesso e volentieri, in un ingiustificato privilegio per
sottrarsi alle sue gravi responsabilità penali.
Proprio per questo nel
1993 – in piena Tangentopoli - l’art. 68 Cost. è stato
riformato, abolendo l’istituto dell’autorizzazione a procedere e
lasciando in vita soltanto l’autorizzazione per l’arresto
cautelare (salvo la flagranza di reato e l’esecuzione di una
sentenza definitiva di condanna), per le perquisizioni e per le
intercettazioni. Oggi i parlamentari, se commettono reati, possono
essere indagati, rinviati a giudizio, processati, condannati e infine
incarcerati, senza necessità di alcuna autorizzazione, come
d’altronde è successo a Dell’Utri, a Cuffaro o allo stesso
Berlusconi (anche se a lui il carcere è stato “generosamente”
risparmiato), solo per citarne alcuni. L’unica cosa che, in
sostanza, la magistratura non può fare senza autorizzazione della
Camera di appartenenza, è arrestare un parlamentare, perquisirne
l’abitazione o utilizzare sue telefonate eventualmente
intercettate.
Davvero c’è qualcuno
che, sull’onda di un diffuso e populista sentimento anticasta,
avverte questa esigenza nei confronti dei futuri senatori? La misura
della custodia cautelare non dovrebbe essere, in un ordinamento
costituzionale che fa della garanzia della libertà personale uno dei
suoi irrinunciabili capisaldi, una misura estrema, da applicare
soltanto nel rigoroso rispetto dei presupposti di legge (pericolo di
fuga, rischio di inquinamento delle prove, pericolo di reiterazione
del reato)? Spesso, però, non è così: la custodia cautelare viene
applicata – o chiesta, nei confronti dei parlamentari – per pochi
giorni o settimane, senza alcuna utilità pratica che non sia quella
di ottenere dall’indagato una confessione o di spettacolarizzare
un’inchiesta che, diversamente, non assurge agli onori delle
cronache e che poi si perde per anni nei corridoi dei Palazzi di
Giustizia prima di approdare – sempre che ci approdi davvero – al
dibattimento o anche solo all’udienza preliminare.
Se così è, anziché
cavalcare il facile gioco di parole dell’immunità che diventa
impunità, sognando arresti cautelari ad ogni notizia di reato,
perché non attendersi dalle Procure, se hanno in mano elementi di
responsabilità dei parlamentari, che ne chiedano senza ritardo il
rinvio a giudizio, per puntare ad una vera sentenza di condanna, e
non soltanto a qualche giorno in carcere e alla gogna mediatica?
Tanto più che, con la sacrosanta legge Severino, soltanto con la
condanna, e non certo con il solo arresto cautelare, il parlamentare
viene estromesso dalla vita politica per 6 anni!
Il che non significa che
le immunità come sono disciplinate oggi non possano essere oggetto
di qualche revisione, ad esempio investendo la Corte costituzionale,
come è stato proposto, del potere di concedere o negare
l’autorizzazione, o escludendo dal loro perimetro perquisizioni e
intercettazioni, che costituiscono spesso preziosi strumenti di
indagine.
Significa soltanto
continuare a credere nella centralità della funzione del Parlamento,
anche del futuro Parlamento asimmetrico che le Camere stanno
discutendo in questi giorni; significa credere che Camera e Senato,
anche se con ruoli non più paritari, debbano vedersi riconoscere una
analoga posizione costituzionale, anche in relazione allo status
dei loro componenti; significa infine pensare che altre sono le
“battaglie” da fare nel percorso riformatore intrapreso dal
governo Renzi, come quella di dare al futuro Senato un ruolo più
incisivo nell’attività legislativa che interessa le Regioni, o
quella di scrivere una legge elettorale che non insegua il mito della
governabilità a tutti i costi, ma trovi un giusto punto di
equilibrio tra rappresentanza e semplificazione del quadro politico.
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