Corriere della Sera 22/06/14
Luigi Accattoli
Finalmente un Papa dice che «i mafiosi
sono scomunicati» e tutti capiamo l’antifona: della rivoluzione di
Francesco fa parte una semplificazione del linguaggio che lo espone a
critiche all’interno della Chiesa, ma che rende comprensibili alle
moltitudini le sue parole e a volte — come in questo caso — le
mostra ispirate al «sì sì no no» del Vangelo.
A partire dal
1944 e fino a ieri, vescovi e Papi avevano condannato con parole di
fuoco — e di un fuoco sempre più vivo — le mafie, ma una
«scomunica» così inclusiva ed estensiva, mirata ai «mafiosi» in
generale, non era mai stata pronunciata.
La prima condanna con
l’uso della parola scomunica è contenuta in una lettera collettiva
dell’episcopato siciliano che ha la data del primo dicembre del
1944: «Sono colpiti di scomunica tutti coloro che si fanno rei di
rapine o di omicidio ingiusto e volontario». Il riferimento —
spiegano i canonisti — è ai «delitti di mafia», che vengono
sanzionati con la scomunica ma senza che venga esplicitata la natura
mafiosa di essi.
Nel 1952 la stessa pena viene confermata dal
Secondo Concilio plenario Siculo con queste parole: «Coloro che
operano rapina o si macchiano di omicidio volontario — compresi
mandanti, esecutori, cooperatori — incorrono nella scomunica
riservata all’ordinario» (dalla quale cioè può assolvere solo il
vescovo del luogo). Ora è più chiaro il riferimento alla mafia, che
tuttavia non viene ancora nominata.
La parola «mafia» arriva
nel 1982, con un documento della Conferenza episcopale siciliana che
dopo l’uccisione del prefetto Dalla Chiesa conferma le pene del
1944 e del 1952 con questa premessa: «A seguito del doloroso acuirsi
dell’attività criminosa che segna di sangue e di lutti la nostra
regione, i vescovi, in forza della loro responsabilità di pastori,
riaffermano la loro decisa condanna [...] sottolineando la gravità
particolare di ricorrenti episodi di violenza che spesso hanno come
matrice la mafia e la nefasta mentalità che la muove e la
facilita».
Il documento era accompagnato da una «nota» che
chiariva le conseguenze di quel tipo di scomunica, avvertendo che «la
condizione di scomunicato emergerà quando l’autore di uno dei due
delitti si accosterà alla confessione per essere assolto dal
peccato: il sacerdote lo informerà che non può assolverlo, in
quanto colpito da “scomunica” che i vescovi hanno “riservato”
a se stessi: dalla quale, cioè, soltanto loro possono assolvere».
In sostanza: quella scomunica — in vigore ancora oggi — non
colpisce chi fa parte di una cosca, ma chi compie una rapina o un
omicidio, o ne è il mandante, o il cooperatore. Non è
l’associazione mafiosa a essere causa di scomunica, ma il delitto
in generale, compreso quello mafioso.
È chiara dunque la novità
delle parole dette ieri dal Papa. «I mafiosi non sono in comunione
con Dio, sono scomunicati». I mafiosi tutti, non solo quelli che
compiono stragi. Francesco ha dunque tagliato con un colpo solo un
nodo attorno al quale la Chiesa siciliana prima e quella italiana
dopo si sono arrovellate per settant’anni. Neanche il famoso monito
lanciato da papa Wojtyla nel maggio del 1993 in visita ad Agrigento —
«Convertitevi, un giorno verrà il giudizio di Dio!» — l’aveva
sciolto, in quanto il Pontefice polacco ebbe cura di non pronunciare
la parola «scomunica».
L’ultimo documento della Cei che
tratta della criminalità organizzata è del 2010, «Chiesa italiana
e Mezzogiorno»: ha parole durissime sulle mafie ma non usa il
termine scomunica: «Riflettendo sulla loro testimonianza (dei
martiri di mafia), si può comprendere che, in un contesto come
quello meridionale, le mafie sono la configurazione più drammatica
del male e del peccato. In questa prospettiva, non possono essere
semplicisticamente interpretate come espressione di una religiosità
distorta, ma come una forma brutale e devastante di rifiuto di Dio e
di fraintendimento della vera religione: le mafie sono strutture di
peccato».
Parole tremende, ma tra le quali non figura la
«scomunica». Durante la preparazione del documento alcuni vescovi —
soprattutto siciliani — avevano suggerito di introdurre quel
termine ma non ebbero successo. Nel corso dell’assemblea della Cei
che si tenne ad Assisi nel novembre del 2009 quei vescovi proposero
che il documento dell’intero episcopato italiano facesse propria
alla lettera questa affermazione, contenuta nel paragrafo 12 della
nota «Nuova evangelizzazione e pastorale» pubblicata nel 1994 dalla
Conferenza episcopale siciliana: «La mafia appartiene, senza
possibilità di eccezioni, al regno del peccato e fa dei suoi
operatori altrettanti operai del maligno. Per questa ragione, tutti
coloro che in qualsiasi modo deliberatamente fanno parte della mafia
e a essa aderiscono, o pongono atti di connivenza con essa, debbono
sapere di essere e di vivere in insanabile opposizione al Vangelo di
Gesù Cristo e, per conseguenza, di essere fuori dalla comunione
della sua Chiesa».
Neanche in quel testo c’era la parola
«scomunica» ma a essa alludeva l’espressione «fuori dalla
comunione». Nella Chiesa Cattolica il parto di una parola può
risultare straordinariamente difficile. In questo caso è stato
necessario un taglio cesareo operato personalmente da papa
Bergoglio.
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