Come è già accaduto con la veglia per la Siria, saranno forti le
conseguenze politiche dell'inedito meeting in cui ebrei, cristiani e
musulmani invocheranno la pace, pregando in modo distinto, secondo la
propria fede
«Nessuno ha la presunzione che dopo questo evento scoppierà la
pace in Terra Santa ma l’intento è quello di fare un gesto forte per
riportare nell’ambito della discussione politica un respiro più ampio e
anche per avere un impatto sull’opinione pubblica». Parole del custode
di Terra Santa, il francescano Pierbattista Pizzaballa, ieri in un
briefing dedicato a spiegare i dettagli dell’incontro convocato per
domani in Vaticano da papa Francesco con il presidente israeliano Shimon
Peres, quello palestinese Abu Mazen e il patriarca ortodosso
Bartolomeo.
Ha ragione il padre francescano a essere cauto, ma le ricadute
politiche di questo “gesto forte”, frutto di una intuizione spontanea di
papa Bergoglio durante l’intensa tre-giorni in Medio Oriente, sono già
palpabili. Grande è l’attenzione dei media internazionali su cosa
accadrà domani nell’arco di poco più di un’ora e mezza – tra le 19 e le
20.30 – in un piccolo triangolo dei Giardini vaticani, tra la Casina Pio
IV e l’Accademia delle Scienze. E già questo sarà sufficiente per
rimettere in circolo nelle vene dell’opinione pubblica la questione mai
risolta di una terra tormenta dall’assenza della pace. Un summit molto
speciale, che si evidenzia per il taglio strettamente religioso, per
essere una «pausa rispetto alla politica», avrà molti più effetti di
tanti estenuanti negoziati.
La diplomazia di papa Francesco è fatta di gesti e di ricerca
dell’incontro. Nella cerimonia di domani mette insieme due leader
artefici di pace e tutte quelle persone – sono la grande maggioranza –
che sognano la pace e «la costruiscono ogni giorno con piccoli gesti».
Mette insieme due delegazioni distinte, espressione di due paesi diversi
e al tempo stesso di tre religioni diverse. Ebrei, cristiani, musulmani
– vivono in Israele come in Palestina – non saranno chiamati a una
«preghiera interreligiosa», ma pregheranno secondo la loro fede,
scegliendo musiche e testi di riflessione della loro tradizione e
sensibilità. L’unione di queste tre punte – interessante la scelta del
prato triangolare che vedrà il papa, i due presidenti e il patriarca
posizionati nel vertice, le delegazioni ai due lati – proietterà
all’esterno il sogno dei costruttori di pace.
Con questa cifra – la scelta di mettere davanti a tutto la forza
della preghiera e dell’incontro – il papa ripropone una strategia già
sperimentata con la grande veglia di preghiera per la pace in Siria.
Anche allora, era il settembre dello scorso anno, si disse che non si
trattava di un gesto politico. Ma le ricadute politiche di quella
convocazioni furono tangibili, di fatto sventarono l’attacco
occidentale.
Ecco perché domani, seguendo un evento studiato con una regia impeccabile, in molti si sentiranno autorizzati a sognare la pace.
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