sabato 7 giugno 2014

Sognando la pace, israeliani e palestinesi nel giardino di papa Francesco

Maria Galluzzo 
Europa  

Come è già accaduto con la veglia per la Siria, saranno forti le conseguenze politiche dell'inedito meeting in cui ebrei, cristiani e musulmani invocheranno la pace, pregando in modo distinto, secondo la propria fede
«Nessuno ha la presunzione che dopo questo evento scoppierà la pace in Terra Santa ma l’intento è quello di fare un gesto forte per riportare nell’ambito della discussione politica un respiro più ampio e anche per avere un impatto sull’opinione pubblica». Parole del custode di Terra Santa, il francescano Pierbattista Pizzaballa, ieri in un briefing dedicato a spiegare i dettagli dell’incontro convocato per domani in Vaticano da papa Francesco con il presidente israeliano Shimon Peres, quello palestinese Abu Mazen e il patriarca ortodosso Bartolomeo.
Ha ragione il padre francescano a essere cauto, ma le ricadute politiche di questo “gesto forte”, frutto di una intuizione spontanea di papa Bergoglio durante l’intensa tre-giorni in Medio Oriente, sono già palpabili. Grande è l’attenzione dei media internazionali su cosa accadrà domani nell’arco di poco più di un’ora e mezza – tra le 19 e le 20.30 – in un piccolo triangolo dei Giardini vaticani, tra la Casina Pio IV e l’Accademia delle Scienze. E già questo sarà sufficiente per rimettere in circolo nelle vene dell’opinione pubblica la questione mai risolta di una terra tormenta dall’assenza della pace. Un summit molto speciale, che si evidenzia per il taglio strettamente religioso, per essere una «pausa rispetto alla politica», avrà molti più effetti di tanti estenuanti negoziati.
La diplomazia di papa Francesco è fatta di gesti e di ricerca dell’incontro. Nella cerimonia di domani mette insieme due leader artefici di pace e tutte quelle persone – sono la grande maggioranza – che sognano la pace e «la costruiscono ogni giorno con piccoli gesti». Mette insieme due delegazioni distinte, espressione di due paesi diversi e al tempo stesso di tre religioni diverse. Ebrei, cristiani, musulmani – vivono in Israele come in Palestina – non saranno chiamati a una «preghiera interreligiosa», ma pregheranno secondo la loro fede, scegliendo musiche e testi di riflessione della loro tradizione e sensibilità. L’unione di queste tre punte – interessante la scelta del prato triangolare che vedrà il papa, i due presidenti e il patriarca posizionati nel vertice, le delegazioni ai due lati – proietterà all’esterno il sogno dei costruttori di pace.
Con questa cifra – la scelta di mettere davanti a tutto la forza della preghiera e dell’incontro – il papa ripropone una strategia già sperimentata con la grande veglia di preghiera per la pace in Siria. Anche allora, era il settembre dello scorso anno, si disse che non si trattava di un gesto politico. Ma le ricadute politiche di quella convocazioni furono tangibili, di fatto sventarono l’attacco occidentale.
Ecco perché domani, seguendo un evento studiato con una regia impeccabile, in molti si sentiranno autorizzati a sognare la pace.

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