Riccardo
Imberti
Nel
viaggio di ritorno dall'Assemblea Nazionale del PD, ho provato a
riflettere sui rischi che corre il partito, legati in particolare
alla possibilità che al suo interno possano prevalere logiche e
dinamiche tese allo sfascio. Ho pensato alla scelta dei 13 senatori
di autosospendersi, alle posizioni assunte dal vecchio gruppo
dirigente del partito e da una piccola parte di nuovi entrati che,
nonostante l’indiscusso successo decretato dalle elezioni
amministrative ed europee, ancora fa molta fatica a riconoscersi
nelle decise scelte del segretario del partito.
L'Assemblea
nazionale mi ha aiutato a capire il clima che vive il popolo del
partito. Vi è, al suo interno, una larghissima maggioranza
favorevole a Renzi, disposta a seguirlo nel suo impegno per cambiare
il Paese; vi è poi una sparuta minoranza (numericamente ridotta dopo
l'accordo su Orfini a Presidente del partito), che si astiene
praticamente su ogni deliberazione. Lo si è potuto constatare in
occasione delle votazioni dei due vicesegretari Guerini e
Serracchiani, nella votazione sul Presidente ma anche nel plauso
tributato a Tocci durante il suo intervento, fortemente critico sulla
bozza della segreteria in tema di riforma costituzionale e di cui ha
richiesto il ritiro.
Nel
suo intervento introduttivo, Matteo Renzi ha confermato la grande
capacità persuasiva e propositiva, doti particolarmente apprezzate
nel nostro Paese in una fase tanto difficile e di estrema
necessità e bisogno.
Mentre
scorrevano nella mia mente i diversi momenti della giornata e sentivo
crescere le preoccupazioni, i dubbi riguardo la possibilità che
l’intero partito si prendesse sulle spalle la responsabilità delle
scelte di indirizzo politico-costituzionale da compiere, in poche
ore, il quadro politico muta improvvisamente.
Si
rincorrono voci su un possibile incontro, in settimana, tra Renzi e
Berlusconi per un aggiornamento dell'agenda sulle riforme e, non
senza qualche sorpresa, il Movimento 5 Stelle e, a seguire, la
Lega Nord, dichiarano il loro interesse a un confronto con il partito
democratico su alcune scelte in programma, a conferma del ruolo
centrale che spetta al Presidente del Consiglio e al PD .
Naturalmente
nei prossimi giorni si capirà se questo radicale mutamento sia
strumentale o effettivo ovvero si tratti di strategie che mirano
semplicemente ad allungare i tempi delle decisioni.
Resta
tuttavia incontrovertibile che, tutto d’un tratto, anche il
dissenso dei 13 senatori si ridimensiona e, nonostante sia di
assoluta importanza cercare in ogni modo di trovare una
ricomposizione interna, l’incidente potrebbe non rappresentare più
un problema per gli obiettivi che Matteo Renzi si è posto.
Ciò
che rimane sullo sfondo tuttavia mi sembra riguardi le regole di
comportamento di coloro che sono chiamati a rappresentare il partito
nelle diverse commissioni parlamentari, della possibilità di
esercizio della libertà di coscienza (in particolare su alcuni temi
sensibili), nonché la spinosa questione del vincolo di mandato per
gli eletti nelle istituzioni.
Tante
e diverse questioni che dovranno essere affrontate con la
capacità di vivere dentro un partito plurale, espressione di tante
sensibilità, di tante storie nell’assoluta consapevolezza che non
è consentito a nessuno di camminare con lo sguardo rivolto al
passato, magari per far prevalere uno spirito di rivalsa che rischia
di vanificare una bella stagione democratica.
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