Battaglia alle porte di Baghdad: gli integralisti sunniti puntano a
prendere la capitale. Stati Uniti e Iran non escludono l’opzione
militare. Rimane il timore dell’implosione
Per qualche ora sono state nello loro mani. Alcune parti della
città di Baquba, a soli 60 chilometri da Baghdad, sono state prese ieri
mattina dai militanti dell’Isis, l’organizzazione per lo stato islamico
in Iraq e Siria. La controffensiva delle forze governative – a guida
sciita – è riuscita a ricacciare gli integralisti sunniti fuori dalla
città: l’ultimo ostacolo rimasto in piedi a sbarrare la strada
all’avanzata integralista verso Baghdad.
Quarantaquattro persone sono state uccise: detenuti sunniti
giustiziati dalle forze governative prima di cedere la stazione di
polizia sotto la pressione degli insorti, alle cui fila si sono aggiunti
anche ex militari dell’esercito di Saddam Hussein e altri sunniti
scontentati dalla politica del governo di al-Maliki, considerata ostile
alla minoranza sunnita dell’Iraq.
Scene di guerra etnica si sono viste a Baghdad, dove quattro persone –
ancora sunnite – sono state trovate morte in uno dei quartieri a
maggioranza sciita. E ancora, in serata, un’autobomba è esplosa in un
mercato, uccidendo dieci persone e ferendone venticinque. La più grande
raffineria di petrolio del paese, quella di Baiji, è stata costretta a
chiudere: una misura che non era stata presa nemmeno nelle ore più
drammatiche dell’intervento americano del 2003.
Il governo iracheno ha accusato l’Arabia Saudita di promuovere «un
genocidio» in Iraq sostenendo i combattenti sunniti. Ma anche
l’esecutivo di al Maliki è stato fatto oggetto di dure critiche, per via
della sua crescente concentrazione sull’aspetto militare dello scontro e
l’assoluta mancanza di una iniziativa politica.
Sia gli Stati Uniti sia l’Iran, i principali sponsor del governo,
spingono per cercare un dialogo con la componente sunnita e curda del
paese, l’unica via – nelle loro analisi – per salvare l’Iraq
dall’implosione. «Adesso è il tempo della guerra, non della
riconciliazione» ha detto al-Khuzai, uomo vicinissimo al capo del
governo iracheno. E per questo sia a Washington sia a Teheran nessuna
opzione viene esclusa, compresa quella militare, mentre i contatti tra i
due governi proseguono.
Per ora Obama ha disposto l’impiego di 287 uomini a Baghdad per
proteggere l’ambasciata Usa nella capitale. Il segretario di stato
americano John Kerry però ha detto che attacchi aerei «sono una delle
possibilità» che la Casa Bianca sta vagliando. Il tutto mentre il primo
ministro dello stato autonomo curdo dice quello che molti temono, e cioè
che l’Iraq non sarà più in grado di rimanere unito dopo tutto quello
che è successo. L’implosione è così più di un pericolo. E la domanda è:
che fare?
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