lunedì 15 dicembre 2014

Renzi avvia le manovre sul Colle 
e manda Lotti dai parlamentari pd.


Corriere della Sera 15/12/14
corriere.it
Il Partito democratico non ha avviato le grandi manovre per il Quirinale con grande anticipo. In un colloquio riservato, lo scorso luglio, Napolitano aveva avvisato Renzi che era sua intenzione lasciare il Colle una volta terminato il semestre di presidenza italiana della Ue. Ma il premier aveva sperato di riuscire a convincere il presidente a restare al suo posto ancora un po’. Si fidava della sua sponda («è un uomo eccezionale») e ne aveva bisogno.

Poi ha dovuto prendere atto che non c’erano le condizioni per andare avanti. E, quindi, ha subito messo in moto la macchina dei fedelissimi per affrontare una questione che, come dice in pubblico, non gli «fa paura», ma che, come ammette in privato, «è cruciale». Il primo passo, ovviamente, è quello di tenere il Pd più unito possibile, perché solo così si potrà andare da posizioni di forza a una trattativa con gli altri partiti che non si trascini per le lunghe.

Il presidente del Consiglio, perciò, sta agendo su due terreni. Da una parte, Graziano Delrio e i suoi due vice Lorenzo Guerini e Debora Serracchiani stanno istruendo il «dossier Quirinale», dall’altra il suo braccio destro e sinistro Luca Lotti da oggi dovrebbe cominciare a consultare i parlamentari del Pd. Non sarà il premier a fare incontri con i capi corrente, perché questo non è un metodo che gli piace: «Non sto trattando con Bersani e non lo farò». È sui gruppi di Camera e Senato che si incentrerà la sua attenzione tramite il fidatissimo Lotti. Nelle consultazioni non verranno fatti nomi di futuribili candidati, ma possibili identikit e, nel frattempo, in questo modo si verificheranno i numeri a disposizione e le alleanze interne.

Certo, i renziani ritengono che, come spiegava ieri David Ermini, «gli agguati siano sempre possibili». Anche se Stefano Fassina ha assicurato che «il Quirinale non sarà un terreno di scontro». La cautela, però, è d’obbligo, benché Renzi si mostri ottimista con i suoi collaboratori: «I numeri nel Pd ce li ho io».

 Però in una partita così complessa è sempre bene giocare le proprie carte con accortezza. Per esempio, la candidatura di Romano Prodi da parte di Pippo Civati (il quale ora lega la sua possibile fuoriuscita dal Pd proprio all’elezione del nuovo capo dello Stato) ha messo una pulce nell’orecchio al premier e ai suoi. Difficile — è il ragionamento che viene fatto dai più stretti collaboratori di Renzi — che Civati abbia candidato Prodi senza nessuna autorizzazione da parte dell’interessato, o quanto meno senza averlo avvertito prima. Che senso avrebbe buttare nel tritacarne un nome di quel calibro, tanto più dopo che un anno prima ha subito una bruciante sconfitta nelle votazioni presidenziali a opera degli ormai famosi 101 franchi tiratori? Perciò in molti, nella platea dell’Assemblea nazionale del Pd, ieri, non hanno giudicato casuali i ripetuti tentativi di Renzi di smitizzare quell’Ulivo, che non è riuscito a rispettare «le promesse fatte in campagna elettorale».

Ma l’idea di voler prima consultare senatori e deputati del Pd per essere sicuro delle proprie forze in campo non significa certo che il premier ritenga di poter far da solo. Non è il caso né il momento: «Poi dovremo naturalmente costruire un percorso in Parlamento dialogando e confrontandoci con tutti». Del resto, lo ha detto anche dal palco della riunione del parlamentino del suo partito, quando, per la prima volta ufficialmente, ha dato per scontato l’addio di Napolitano al Quirinale. Ed è convinzione anche della minoranza che quello del dialogo con le altre forze politiche sia un percorso inevitabile.

Ma ecco le parole del premier: «Può darsi che questa sia l’ultima Assemblea nazionale del Pd con Napolitano presidente. Io non sono preoccupato perché sono sicuro che questo Parlamento sarà in grado di eleggere il capo dello Stato quando sarà il momento. Il fatto che nel 2013 abbia fallito il colpo non significa che oggi non sia stata imparata quella lezione. Non ho dubbi che il Pd, dopo una discussione interna, andrà a parlare con le altre forze politiche e individueremo un garante delle istituzioni autorevole. Non è il momento di evocare paure e minacce».

Il sogno è quella di farcela al primo colpo, come fu per Ciampi, la certezza è che se non sarà così, nelle prime tre votazioni, quelle dove occorre una maggioranza qualificata, si andrà con la scheda bianca per non bruciare nessun nome, evitando di ripetere l’errore del 2013.




Nessun commento:

Posta un commento