domenica 7 dicembre 2014

Dall’Expo alla Capitale, le mani sulle città e le colpe di una politica ridotta a tessere


WALTER VELTRONI
La Repubblica 7 dicembre 2014
Caro direttore, non voglio girarci intorno: sono passati sette anni da quando Luca Odevaine ha cessato il suo lavoro al Campidoglio, tuttavia per tutti noi, che, fino ad allora, lo abbiamo conosciuto e abbiamo lavorato con lui é stato uno choc angoscioso e sconcertante sapere del suo arresto e del suo coinvolgimento negli anni successivi in una storia terribile di intreccio tra criminalità, politica e affari che la magistratura romana ha con grande merito disvelato. Odevaine è stata, in quegli anni, tra le persone più impegnate sul fronte della lotta all’abuso e alla illegalità diffusa. Con lui e con gli assessori abbiamo abbattuto 510 mila metri cubi di costruzioni illegittime, compresi faraonici alberghi e insediamenti di abusivi come al Celio e a Tor di Nona, che liberammo dalla criminalità. Con lui e con gli assessori demolimmo ventiquattro mila cartelloni illegali e scontammo le reazioni di quei poteri che ci minacciarono, anche fisicamente. Era una persona stimata da chi dirigeva le forze dell’ordine: si potrebbe chiedere a tutti i prefetti e a tutti i vertici delle forze dell’ordine che si sono succeduti in quegli anni a Roma. In una intervista di questi giorni a una delle massime dirigenti di Libera è riportato lo stesso stupore di tutti noi.
Credo che per Nicola Zingaretti, che lo ha avuto come capo della polizia provinciale e per me, che lo ho avuto prima come vice capo gabinetto, Odevaine, che veniva da una esperienza di impegno civile come Legambiente era questo. Nessuno mai ci ha riferito dubbi o voci sulle sue azioni. Così come su una cooperativa sociale che, come ha detto correttamente Walter Tocci, nacque trent’anni orsono con il concorso di Don Luigi di Liegro ed era comunemente considerata una esperienza importante di reinserimento di persone emarginate. E che ora sembra essersi trasformata nel suo orribile contrario.
Se i sette anni successivi hanno fatto un’altra persona o se in quegli anni stessi ce ne era un’altra nessuno di noi, amministratori o vertici delle forze dell’ordine o giornalisti che lo hanno conosciuto, ovviamente lo ha mai percepito. Se questo fosse accaduto, ma questo lo stabilirà il processo, sarebbe di enorme e sconvolgente gravità. E per tutti noi, anche personalmente, una realtà talmente sconvolgente da ferire in modo indelebile. Il resto è l’orrore di un sistema politico e mafioso che ha sempre cercato di allungare le sue mani sulla città e sulle città, come dimostrano le vicende dell’Expo, del Mose e la penetrazione massiccia delle mafie nella politica, nella economia e nelle istitu- zioni di tante regioni italiane e anche nella vita profonda della capitale. Ed è la crisi di una politica ridotta a tessere, correnti, potentati, preferenze e deprivata della sua ragione e del suo senso.
Voglio essere schietto: ogni struttura che amministri potere è esposta. È successo al Vaticano, ai governi, alle aziende, persino ai corpi dello Stato di essere utilizzati da chi a un certo punto ha perseguito fini personali di arricchimento o di potere. Ciò che conta, ciò che fa il giudizio politico e morale, è se chi guidava queste istituzioni, se sapeva, tollerava, consentiva o peggio era connivente se non organizzatore. Posso dire, senza tema di smentita, che, come avviene oggi con Marino, l’indirizzo delle nostre giunte, la mia come quella di Rutelli o di Petroselli, era esattamente il contrario, era la legalità come valore assoluto. E non posso dimenticare che dopo la prima consiliatura, nel 2006, lo slogan della nostra campagna elettorale, che si concluse con il 64% dei consensi, era “Orgogliosi di essere romani”. Uno slogan che, evidentemente, corrispondeva al sentire della città, specie delle zone più periferiche, dove il centrosinistra ottenne un consenso record.
Lo so che in questi tempi di semplificazioni e di orrori politici e morali è difficile crederlo: ma ci sono state e ci sono persone, a ogni livello di governo e anche di diverse ispirazioni politiche, che hanno lavorato solo per il bene comune anche combattendo con coraggio ogni illegalità. Possono aver sbagliato scelte o decisioni, ma hanno sempre lavorato onestamente, mossi dalla convinzione che la politica fosse una missione laica da vivere con onestà e disinteresse. Persone che hanno pensato e vissuto il potere come mezzo per affermare le proprie idee e non come fine. E questa è la differenza decisiva. Persone che, per questo, non hanno avuto esitazioni a lasciarlo, il potere. Per i sindaci che ho citato la legalità era una ossessione civile, come deve essere per chiunque abbia potere. E in quel tempo Roma è stata a detta di tutti gli osservatori un esempio nazionale e internazionale di cambiamento e di buon governo.
Uno dei miei ultimi atti pubblici, dopo la scelta di concludere la mia esperienza di deputato e la mia vita politica attiva, fu un articolo su questo giornale in cui, prima delle elezioni del 2013, chiedevo che il futuro governo, che speravo di centrosinistra, pronunciasse in Parlamento una vera e propria dichiarazione di guerra alle mafie. Continuo a pensare che questo sia il più grande problema italiano e che, oltre la magistratura, anche la politica abbia sempre avuto e abbia ancora il dovere di porsi l’obiettivo di stroncarle, una volta per tutte. Costi quel che costi.

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