mercoledì 24 dicembre 2014

La requisitoria di Francesco 
e le resistenze alla sua riforma.


Corriere della Sera 23/12/14
corriere.it
La Curia vista da Casa Santa Marta non dev’essere un bello spettacolo: non ancora, almeno. L’antropologia ecclesiastica che il Papa ha evocato ieri ha qualcosa di inquietante. Le parole usate sono state sorprendenti, nella loro durezza e a tratti perfino crudezza. Che Francesco sia costretto a parlare così alla «sua» burocrazia a quasi due anni dall’inizio del pontificato segnala una miscela di amarezza e di fastidio. E conferma la difficoltà a cambiare la mentalità curiale. Le «15 malattie» elencate davanti ai porporati «romani» suonano come atto d’accusa contro un modo di essere del Vaticano.

Espressioni come «alzheimer spirituale», o «terrorismo delle chiacchiere», per quanto simili ad altre già usate in passato, danno l’idea di una sfida ancora in atto; e tutt’altro che chiusa.

Francesco stravince in popolarità nel mondo. Si conferma un primattore nella diplomazia internazionale, come attesta la mediazione su Cuba tra il presidente Usa, Barack Obama, e Raùl Castro. Ma dentro le Sacre Mura, appena fuori dalle pareti rassicuranti e familiari della sua residenza spartana, sembra percepire un mondo che, se non ostile, comunque gli appare ancora in buona parte estraneo. E non gli piace. Viene da chiedersi che cosa sia, o non sia accaduto in questi ultimi tempi per indurre il papa argentino ad una denuncia così radicale.

Si può rintracciare qualche indizio qui e là quando allude ai protagonismi da prima pagina, alle ipocrisie di chi parla dietro le spalle, o ai «traslochi» che farebbero pensare al recente spostamento del cardinale Tarcisio Bertone nel suo chiacchierato appartamento proprio accanto a Casa Santa Marta. Forse un accenno a qualche parola di troppo del cardinale George Pell, «ministro dell’Economia» vaticana, redarguito dal settimanale dei gesuiti statunitensi America per aver straparlato di soldi in nero della Santa Sede?

Si tratta di tracce riduttive. I toni sono talmente forti da far pensare ad una insoddisfazione di fondo per le resistenze che incontra la sua riforma della Curia.

Eppure, dopo quasi due anni e molti gesti rivoluzionari, sostituzioni, creazione di commissioni ad hoc, Francesco dovrebbe sentire di avere plasmato la Città del Vaticano almeno un po’ a sua immagine e somiglianza. E invece no. È come se per venti mesi avesse annusato la Roma papalina, arrivando alla conclusione che non è riuscito a «convertirla».

Ritorna l’eco amara della frase di un argentino che durante il recente Sinodo confidava: «Qui rischia di non cambiare quasi niente». Oppure, le voci su cardinali di Curia che consigliano agli avversari di Bergoglio tentati di lasciare Roma: «Aspetta, questa fase passerà presto». O ancora, il timore di lasciare le riforme a metà, che il papa confessa alle persone vicine.

In realtà, un amico venuto dall’Argentina che lo ha incontrato di recente, lo ha visto determinato ad andare avanti più di prima. «Non credo che si dimetterà mai», spiega. «Ma se lo decidesse, sarà quando riterrà che le sue riforme sono irreversibili». Il problema è che continuano ad apparire in bilico. L’Osservatore Romano , il quotidiano della Santa Sede, ieri ha titolato sull’«Esame di coscienza» chiesto da Francesco; e commentato che «la Curia romana ha di fronte a tutta la Chiesa un dovere speciale di esemplarità». A scorrere le parole papali, si indovinano invece soprattutto cattivi esempi. E qualcuno insinua il dubbio che Casa Santa Marta sia una scelta a doppio taglio.

Simbolicamente, è stata ed è la rottura con l’ambiente mefitico che ha portato alle dimissioni di Benedetto XVI nel febbraio del 2013. Ma la «corte parallela» che al di là e contro la volontà di Francesco tende a formarsi quotidianamente, lo aiuta o a volte finisce per isolarlo? È una domanda terribile, che qualcuno si comincia a porre senza trovare risposte convincenti. Certo, colpisce ascoltare cardinali schierati apertamente con Francesco, che dopo il discorso di auguri abrasivo di ieri ammettono di essere «stupiti»; di cogliere in quanto ha detto Francesco un allarme superiore alla realtà di Curia.

Probabilmente, esiste uno iato tra quanto il Conclave e lo stesso pontefice si aspettavano con la sua elezione, e i risultati raggiunti finora. Si intuisce tutta la difficoltà di conciliare la sua idea di una «Chiesa in uscita» con la realtà vaticana di una Chiesa tendenzialmente sulla difensiva, trincerata in antiche certezze: per quanto smentite dalla storia recente. La prospettiva che di questo passo aumentino le distanze tra il papa latinoamericano e una parte delle gerarchie, proprio mentre cresce la sintonia tra Francesco e le folle, non va sottovalutata.

Rimane da capire se strigliate come quella di ieri siano un pungolo per accelerare il cambiamento e piegare le resistenze; oppure possano diventare un alibi per chi le combatte e cerca di usare le parole papali con l’obiettivo di affinare e predicare la strategia del «guarda e aspetta». Nella convinzione, non importa se sbagliata o no, che i «quindici peccati» additati da Bergoglio siano, in gran parte, esagerati. Da gestire e, al massimo, da correggere come debolezze umane ineliminabili nella Roma papalina.

Nessun commento:

Posta un commento