venerdì 19 dicembre 2014

Non solo Cuba. L’asse tra Obama e il papa

Guido Moltedo 
Europa  
Il disgelo tra Washington e l'Avana, con il sostegno di Francesco, è un "modello" per la soluzione di altre crisi. Negli Usa la mossa del presidente spiazza i repubblicani e facilita la strada di Hillary verso la Casa Bianca
Prossima tappa? Un viaggio di Barack Obama a Cuba? O, più realisticamente, forse, un incontro a tre, a settembre, fra Obama e Raul Castro. I due presidenti e Francesco. Nella cornice dell’assemblea annuale delle Nazioni Unite. A cui partecipano capi di stato e di governo e, il prossimo anno, anche il capo della chiesa cattolica, che ha avuto un ruolo decisivo nel rendere possibile l’intesa tra i due nemici storici.
Pensando già a quale sarà la prossima tappa del processo di distensione che si è aperto improvvisamente tra Usa e Cuba, si ha la sensazione, da un lato, della velocità del ciclo delle notizie, che divora anche gli eventi storici, dall’altra, del fatto che la giornata del 17 dicembre è, appunto, solo l’inizio di un tragitto. Lungo e complicato. Un percorso su più piani e in più direzioni, sul versante interno dei due paesi più direttamente coinvolti, sul versante del continente americano ampio (le Americhe) e sul versante più ampio delle relazioni internazionali e delle altre situazioni conflittuali nel mondo, per le quali il modo in cui è stata affrontata la questione cubana, anche con il coinvolgimento della chiesa di Francesco, è un precedente e perfino un modello.
Soprattutto nel Vicino Oriente e in Iran. Per il presidente Obama e l’attuale papa, che si trovano in grande sintonia nell’analisi delle vicende mediorientali e nel metodo per affrontarle, il modo in cui è stato pazientemente sciolto il groviglio cubano – diciotto mesi di negoziati segreti – è considerato un test importante e promettente.
Va sottolineato, tuttavia, che anche in questo caso, prevale su tutto – nelle intenzioni del presidente statunitense – l’effetto della sua decisione sul fronte domestico.
Nove presidenti, prima di lui, si erano confrontati con la questione cubana, mantenendo sempre, democratici e repubblicani, la stessa linea, quella dell’embargo e della punizione senza fine del regime castrista, ma in realtà del popolo cubano. Perché è andata avanti così anche dopo la caduta del Muro? Perché Cuba è molto vicina alla Florida, lo stato dove ha trovato rifugio un milione e mezzo di esuli e profughi cubani, col dente avvelenato col castrismo, specie le vecchie generazioni. Uno stato che conta ben 29 voti elettorali nelle elezioni presidenziali nel quale la componente ispanica è determinante.
Uno stato decisivo, come insegna la contestata vittoria di George W. Bush su Al Gore nel 2000, proprio con i voti “rubati” in Florida.
Cuba è sempre stato un tabù nella politica americana. Nessuno voleva inimicarsi la comunità cubana, che così determinava la politica di Washington confronti dell’Avana. E anche questa volta, le reazioni alla decisione di Obama lo dimostrano, con il senatore della Florida Marco Rubio, figlio di profughi cubani, scatenato contro la decisione di Obama, e l’ex-governatore della Florida Jeb Bush, anch’egli molto critico. Rubio e Bush probabilmente si candideranno alle presidenziali del 2016. Entrambi sono legati ai rifugiati cubani historicos, in gran parte arci-conservatori e, naturalmente, anti-castristi irriducibili.
Hillary Clinton, no. Lei è con Obama. Come lo è stata sulla questione dell’azione esecutiva sull’immigrazione clandestina. Probabile candidata nel 2016, Clinton guarda al voto ispanico nel suo complesso, che non è la fetta minoritaria dei cubani historicos. Le ultime generazioni di cubano-americani sono a favore della normalizzazione delle relazioni con Cuba. E in Florida, secondo un sondaggio Reuters-Ipsos condotto prima dell’annuncio del disgelo, il 47 per cento degli intervistati è favorevole all’avvio di normali relazioni diplomatiche con l’Avana.
A livello più generale, poi, la stragrande maggioranza dei latinos degli Stati Uniti (49 per cento a favore, venti contro) sostiene la distensione cubano-americana. Commentando i dati, la sondaggista dell’Ipsos Julia Clark ha detto che il trend continuerà a crescere.
Eppure anche lo stato maggiore repubblicano nei due rami del Congresso è sulla linea critica di Rubio e Bush. Tenendo conto che da gennaio il Grand Old Party assumerà il controllo sia del senato sia della camera, è facile prevedere che le decisioni assunte da Obama potranno essere rigettate dal Congresso. O comunque potrebbe aprirsi un’aspra battaglia tra la Casa Bianca e il Congresso controllato dai repubblicani. Sarà davvero così? Di fatto, com’è successo sul terreno del condono nei confronti degli immigrati clandestini, in maggioranza ispanici, anche su quello dell’apertura a Cuba, i repubblicani rischiano di perdere definitivamente ogni possibile contatto con l’elettorato ispanico, dovendo sottostare al ricatto della sua destra più estrema.
Con la mossa cubana, Obama spiazza di nuovo i repubblicani, crea scompiglio nelle sue file. Non lo fa a proprio beneficio, se non dell’eredità politica che intende lasciare alla storia, ma sicuramente agevola così le aspirazioni presidenziali del candidato democratico che correrà per la sua poltrona. E che, se vincerà, lo dovrà dunque a Obama, ma anche a Castro. E a papa Francesco.

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