domenica 7 dicembre 2014

Il sindaco della Dc voluto da Wojtyla nel dopo Marcinkus.


Corriere della Sera 07/12/14
corriere.it
L’apertura di un’indagine non è prova di colpevolezza. Per Angelo Caloia, indagato dalla Procura vaticana, forse è l’occasione per difendersi facendo conoscere all’opinione pubblica più vasta il lavoro di pulizia svolto nello Ior. Già, perché «il professore», come viene chiamato non solo per i titoli accademici cumulati in una vita d’insegnamento in Cattolica ma per il tratto riservato, sobrio, schivo da eminenza laica, è riuscito a non finire mai sotto i riflettori: né quando, nel 1989, fu chiamato da Wojtyla «a salvare lo Ior», travolto dagli scandali e dalle operazioni di Calvi, Sindona e Marcinkus, né vent’anni dopo.

Nel 2009, infatti, nella sorpresa generale, il cardinale Bertone lo sollevò dall’incarico con una telefonata, la sera, a casa. Un gesto fuori dalle regole del bon ton curiale: l’allora segretario di Stato avrebbe potuto comunicare a Caloia l’intenzione di sostituirlo con Gotti Tedeschi a solo un anno dalla scadenza naturale del mandato il giorno dopo, di persona, a Roma.

Erano stati almeno quattro fattori a convincere Agostino Casaroli, il cardinale dell’Ostpolitk, a rivolgersi a Caloia: le origini modeste e solide tipiche dell’ambrosianità (il padre artigiano lo portò come aiuto a montare le tapparelle alla Torre Velasca); gli studi in Cattolica e la specializzazione in Pennsylvania; la moglie inglese; l’esperienza amministrativa (fu sindaco a Castano Primo e poi segretario regionale della Dc). Ma forse l’input decisivo venne da un’iniziativa del 1984: Caloia istituì a Milano il Gruppo cultura etica finanza, che si riuniva presso il Mediocredito Lombardo, che lui presiedeva. All’apparenza informale, il Gruppo cominciò a radunare universitari, imprenditori, esponenti ecclesiastici di vaglia a partire da Attilio Nicora (vescovo che nello stesso anno firmò le modifiche al Concordato per la Santa Sede, con Margiotta Broglio per lo Stato), allora braccio destro di Martini, poi approdato in Vaticano e nel 2002 fatto presidente dell’Apsa, l’Amministrazione del patrimonio della Santa Sede.

Secondo alcuni il Gruppo avrebbe dovuto lanciare Caloia alla presidenza della Cariplo. La strada però venne sbarrata da beghe dc. Ma fu una fortuna per Caloia. Sempre senza apparire, divenne un catalizzatore della cosiddetta «finanza bianca», banchieri di matrice cattolica, contrapposti alla finanza laica dei Mattioli e dei Cuccia. Nel contempo, però, poté candidarsi a rappresentare la componente ideale, «di servizio» rispetto ad altri protagonisti del credito di matrice cattolica, come Geronzi e Fazio, che secondo le sue critiche erano arrivati ai vertici di istituti un tempo laici, perdendo per strada «l’identità cristiana».

Che lo Ior avrebbe rappresentato il banco di prova Caloia lo capì subito. Da poco era in sella, con i nuovi statuti che avrebbero dovuto garantire fini istituzionali e trasparenza, e lo Ior finì nel mirino di Mani pulite, per la maxitangente Enimont. Lo aspettarono al varco i suoi nemici interni in Vaticano, dai potenti legami con gli entourage di Andreotti e Cossiga. Ma Caloia la spuntò. E, conquistata la fiducia di Wojtyla ogni 5 anni ebbe il rinnovo della presidenza. Ora l’indagine sembra una nemesi, viste le ombre che in anni passati si allungarono sulla gestione di appalti e affari della Santa Sede, che misero in cattiva luce anche Bertone. Ma adesso Caloia è presidente della Veneranda Fabbrica del Duomo. E la Madonnina veglia sui suoi figli, nella buona e cattiva sorte.

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