domenica 7 dicembre 2014

La tolleranza zero di Papa Francesco inguaia il principe della finanza cattolica


ALBERTO STATERA
La Repubblica 7 dicembre 2014
Diavolo di un Papa ( absit iniuria verbis). Roma è sottosopra per lo scandalo della Mafia Capitale, e Bergoglio che fa? Dà il via libera e fa rendere nota, con procedura inedita, l’inchiesta del Promotore di Giustizia del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano sull’Istituto per le Opere di Religione e i suoi precedenti vertici amministrativi.
Tutt'altro che un caso fortuito, perché la banca della Santa Sede è coinvolta in tutti i più grandi scandali finanziari che hanno funestato l’Italia per decenni, da Tangentopoli alla scalata dei furbetti del quartierino, dalla Cricca delle grandi opere e della Protezione civile, fino a Calciopoli, dalla Carige alla Lux Vide di Ettore Bernabei. Ma è anche uno dei terminali tradizionali usati dalla criminalità capitolina fin dai tempi della banda della Magliana e del suo capo Renatino De Pedis, il bandito ammazzato che fu sepolto come grande amico della Chiesa nella cripta di Sant’Apollinare. La leggenda metropolitana vuole che Renatino fosse figlio del vicario di Roma cardinale Ugo Poletti (non risulta abbia a che vedere col ministro in carica Giuliano, fotografato con la banda di grassatori capitolini). Ma i successori della malavita romana Gennaro Mokbel e Massimo Carminati sono tutt’altro che ignoti nel Torrione di Niccolò V.
Stavolta la giustizia vaticana parte da un caso semplice semplice di peculato. Ma, misurato il peso degli indagati, si sa da dove muove, ma non si sa dove arriverà. Angelo Caloia e Lelio Scaletti, rispettivamente ex presidente ed ex direttore generale dello Ior, insieme a un avvocato, sono accusati di aver venduto a prezzi d’affezione parte del ricchissimo patrimonio immobiliare della banca a società da loro controllate per rivenderlo poi a prezzi di mercato. Quisquilie rispetto alla storia recente di un Istituto, nato come Ad Pias Causas, tappezzato di scandali epocali, come la maxitangente Enimont dei primi anni Novanta, ma anche di cadaveri: da Roberto Calvi a Michele Sindona fino al povero Giorgio Ambrosoli.
Si dà il caso che Angelo Caloia non sia un politicuccio come l’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno, ma un principe della finanza cattolica e un vecchio democristiano dalle mille relazioni. Professore di Economia politica alla Cattolica di Milano, democristiano d’antan, è esponente di quella “banda degli onesti” vicina al banchiere Giovanni Bazoli e, onore sommo, è presidente della Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano. Allo Ior ha regnato per un ventennio, dal 1989 al 2009, e tutto si può dire della sua lunga opera, fuorché sia riuscito a liberare la banca dall’influenza luciferina lasciata in eredità dal suo predecessore, l’arcivescovo Paul Casimir Marcinkus, che ne aveva fatto la sentina di quasi tutte le schifezze finanziarie italiche all’insegna del motto: “Non si può dirigere la Chiesa con le Ave Marie”. Infatti preferì maneggiare per decenni con disinvoltura lo “sterco del diavolo”.
È difficile immaginare uno come Caloia, che presumiamo timorato di Dio più del suo predecessore arcivescovo bon vivant, invischiato con il darwinismo criminale della “Terra di mezzo” capitolina, fatta di omicidi, di “spezzaossa” e di sottopolitica debole e corrotta. Ma poi vai a vedere e lo scopri affaccendato in frequentazioni poco commendevoli se non proprio indecenti. Avete presente lo scandalo dell’Expo di Milano? Bene, quel Gianstefano Frigerio col suo socio Sergio Cattozzo, come risulta dagli atti processuali, frequentavano l’esimio professore, che accettò di pranzare al milanese hotel Westin Palace, teatro degli affari di quella banda, presente anche un dirigente di Publitalia 80, la società di Berlusconi. Millanterie? No. Ma un pranzo naturalmente non fa un colpevole, anche se ormai pensar male è d’obbligo di fronte alle maleodoranti sorprese che il paese ci consegna giorno dopo giorno.
D’altra parte, c’è tra i giudici di Mani pulite chi ricorda che quando la Procura milanese gli chiese dettagli sulle tangenti passate per lo Ior, Caloia rispose: «Ogni eventuale testimonianza è sottoposta a una richiesta di rogatoria internazionale ». Deflette poi dal Caloia-Style, che dovrebbe essere quello di un grande banchiere per di più timorato di Dio, la storia col suo successore Ettore Gotti Tedeschi, che tentò di fare pulizia allo Ior. Insomma, il professore un giorno va in televisione e lascia intendere più o meno che il suo successore è coinvolto nei casi più oscuri della recente storia criminal-finanziaria, a cominciare da quello del banchiere Gianmario Roveraro assassinato nel 2006. Quello gli fa causa e non accetta di ritirarla, come richiedono gli avvocati di Caloia.
Quanto alla storia dei palazzi venduti a prezzi d’affezione, la spesa immobiliare a due soldi in Vaticano era quasi un vezzo dei potenti. Molti durante l’epoca di Berlusconi e dei suoi infiltrati in Vaticano tra i Gentiluomini di Sua Santità (vedi Gianni Letta e Angelo Balducci) hanno acquistato da Propaganda Fide qualche bell’appartamento o addirittura un palazzo nel centro di Roma, come ad esempio, tra i tanti, l’ex ministro Pietro Lunardi. Ma quando mai la magistratura vaticana si era mossa pubblicamente con questa determinazione, dopo decenni di rifiuto di ogni controllo esterno e di silenzio della magistratura interna?
Francesco, come è stato subito evidente, fa sul serio. Ben attento all’amministrazione, ha spazzato via quasi tutti gli uomini del cardinal Tarcisio Bertone, che tiene sotto tiro anche per la reggia che l’ex segretario di Stato si è fatto allestire in Vaticano e che ha inaugurato — narrano le cronache — con feste sardanapalesche. Per cui è difficile prevedere dove andrà a parare l’inchiesta su Caloia, ma si prevede lontano, molto lontano. E si sa: «è più facile che un cammello passi nella cruna dell’ago che un ricco entri nel regno dei cieli, come diceva qualche Vangelo.

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