Corriere della Sera 17/04/15
Massimo Franco
La rotta di collisione sembra segnata.
E per quanto gli uomini e le donne di Matteo Renzi sostengano che
alla fine il voto del Pd sarà compattamente a favore dell’Italicum,
l’inquietudine rimane. Non perché si tema una bocciatura della
riforma elettorale: sarebbe una tale enormità da mettere a rischio
la legislatura, non soltanto il governo. E sarebbe difficile spiegare
al Paese, oltre che ai militanti della sinistra, il suicidio di un
esecutivo. Il tema è quello di rapporti politici che nel
partito-perno della maggioranza si sono incattiviti e irrigiditi:
senza che nessuno abbia voluto o potuto fare nulla per evitare lo
scontro.
È probabile che il premier vinca la sua partita con la
minoranza. Ma è anche plausibile ritenere che Palazzo Chigi
riemergerà con una coalizione inquinata da molti veleni. Quando si
fa sapere che al massimo entro metà maggio la riforma sarà legge,
si avanza una previsione verosimile. Il problema è con quale
maggioranza, se davvero il Pd perderà alcune decine di voti dei suoi
deputati, e avrà contro tutte le opposizioni. Le dimissioni del
capogruppo Roberto Speranza sono state accolte come un atto politico
ostile da Renzi: il tentativo estremo della minoranza di rinviare
ancora qualunque decisione.
Per questo il premier ha deciso di
andare avanti comunque. Lorenzo Guerini, vicesegretario e suo
plenipotenziario nel Pd, ieri sosteneva la tesi di «una rottura non
insanabile»; e che in aula prevarranno «lealtà e compattezza». Ma
intanto lo strappo si è consumato, e un «sì» forzato è destinato
a lasciare strascichi e tensioni. Campeggia sempre in primo piano la
polemica contro un «Parlamento di nominati», per la storia dei
cento capilista bloccati previsti dall’Italicum.
L’ex
segretario Pier Luigi Bersani ironizza su un impianto che
somiglierebbe al «sistema del “ghe pensi mì”, ci penso io». In
realtà, il vero scontro si consuma altrove: sugli emendamenti che
cercano di inserire il premio in seggi non alla lista, cioè al
partito con più voti, ma alla coalizione. Sono quelli, che fanno
paura a Renzi e lo inducono a non escludere il ricorso alla fiducia.
Voto alla coalizione vorrebbe dire depotenziare un’eventuale
vittoria del Pd; e, con la soglia del 3 per cento alle forze minori,
offrire margini di trattativa un po’ a tutti.
Sarà in quella
occasione che il voto segreto potrebbe saldare tutti gli oppositori
del capo del governo, fuori e dentro al suo partito, sottraendogli
una delle armi più potenti nella prospettiva di elezioni, anticipate
o meno. Rimane tuttavia la domanda sui motivi che hanno portato a una
situazione di contrapposizione così dura. Che sia figlia di
un’inclinazione renziana a forzare ogni conflitto per vincerlo, o
della disperazione di una minoranza del Pd aggrappata ad una
strategia di pura resistenza, il saldo rischia di essere negativo per
entrambi.
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