Corriere della Sera 19/04/15
Francesco Alberti
Settecento profughi in viaggio verso il
Veneto. Sindaci sul piede di guerra. E un partito, il Pd, che rischia
di andare in corto circuito. Il primo cittadino di Vicenza, il dem
Achille Variati, ha già fatto sapere che lunedì non parteciperà al
vertice in prefettura a Venezia sul tema dell’immigrazione. Il suo
collega di Belluno, Jacopo Massaro, pure lui di centrosinistra, si
limiterà a mandare un assessore. E quello di Treviso, il pd Giovanni
Manildo, sta valutando il da farsi.
La rivolta monta nel partito
di Renzi, complice anche il clima elettorale delle Regionali con una
Lega che non perde occasione per soffiare sul fuoco dell’emergenza
immigrazione e solidarizza con la sollevazione dei sindaci pd. Alle
prefetture viene rivolta l’accusa di non coinvolgere i primi
cittadini, imponendo soluzioni dall’alto in assenza di adeguati
processi d’integrazione.
Un malessere che rischia di arrivare
ai vertici del Pd: i parlamentari veneti hanno chiesto la
convocazione di una direzione nazionale per fissare una linea comune,
paventando «pericoli» in una campagna elettorale che vede impegnata
la renziana Alessandra Moretti in una complicata sfida con il
governatore uscente leghista, Luca Zaia, e il sindaco di Verona,
Flavio Tosi.
E che la pratica sia delicata, lo ha ammesso lo
stesso segretario regionale pd, Roger De Menech, che ha fatto sapere
di voler sottoporre la questione direttamente al premier.
La
scintilla che ha riacceso un malessere peraltro presente da tempo in
Veneto è stata l’annuncio del sindaco pd di Vigodarzere (Padova),
Francesco Vezzaro, di rinunciare alla fascia tricolore per protestare
contro la prefettura che giovedì scorso, «senza il minimo
coinvolgimento», aveva individuato in una caserma dismessa
dell’Aeronautica un potenziale centro di accoglienza per un
centinaio di profughi. La minaccia di dimissioni di Vezzaro, poi
rientrata dopo una serie di chiarimenti e sollecitazioni giunti dal
Pd veneto, è stata colta al volo dalla Lega: Zaia ha parlato di
«sindaco coraggioso» e il primo cittadino di Padova, Massimo
Bitonci, di «monito per Renzi e Alfano».
Per il Pd, una ferita
aperta. Variati, sindaco di Vicenza, da tempo fortemente critico
sulle politiche governative in materia di distribuzione dei profughi,
ha motivato la sua assenza al vertice di domani a Venezia,
riproponendo una lettera scritta nel febbraio scorso al prefetto
nella quale si diceva «contrario a un modus operandi che non
affronta i problemi e non tiene conto del disagio sociale dei
cittadini: nessun progetto d’integrazione, solo una mera
accoglienza a carico dello Stato, che poi si trasforma in
clandestinità con tutte le conseguenze che questo
comporta».
Altrettanto perentorio il sindaco di Treviso
Manildo: «Questa volta siamo intenzionati a dire no, basta. Abbiamo
fatto di tutto per fronteggiare l’emergenza, non possiamo
continuare a svolgere un ruolo di supplenza nei confronti dello Stato
e dell’Europa. Ci mancano strutture e mezzi».
Il tema è
esplosivo e il Pd cerca un punto d’equilibrio. Lo chiedono ai
vertici nazionali i parlamentari veneti (il senatore Santini e i
deputati Naccarato, Camani, Miotto e Narduolo) secondo i quali il
problema non è tanto il numero dei profughi («Estremamente ridotto
–— scrivono —: 380 in provincia di Padova e circa 2.800 in
tutto il Veneto») quanto «il clima di ingiustificata paura e di
strumentalizzazione messa in atto dalla Lega». Che non molla la
presa. Il governatore Zaia ha ribadito il suo no «a flussi
selvaggi», aggiungendo: «In Veneto ci sono 511 mila immigrati, di
cui 42 mila senza lavoro: non siamo in grado di accoglierne
altri».
In salita il compito della candidata pd, Alessandra
Moretti, stretta tra i malumori della base e le esigenze di governo:
«I profughi? Pronta ad accoglierli se da Roma garantiscono adeguate
risorse: altrimenti, direi di no anche a Renzi…».
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