Corriere della Sera 12/04/15
Margherita De Bac
All’inizio c’erano le Usl, le unità
sanitarie locali. Poi nel ‘93 sono arrivate le Asl, le aziende.
Adesso, almeno in Toscana, arrivano le Super Asl. Tre secondo la
legge approvata un mese fa, nord, sud e centro, ribattezzate aree
vaste. Assorbiranno le attuali 16 sorelle più piccole (12 sanitarie
e 4 ospedaliere universitarie), a capo di ciascuna un
coordinatore.
L’assessore alla Salute della Regione Luigi
Marroni, ingegnere meccanico, da alto dirigente di Fiat trattori ha
gestito felicemente due fusioni. L’ultima impresa in un settore
diverso lo inorgoglisce addirittura di più: «Lei non ha idea delle
difficoltà. Quando la riforma entrerà a regime risparmieremo almeno
il 5-6% del fondo totale. Avevamo già centralizzato acquisti,
informatica e amministrazione del personale, compresi i bandi.
Settanta milioni all’anno in meno».
Piacerà a Renzi la dieta
dimagrante toscana, visto le affermazioni dopo il sì al Def, il
documento di economia e finanza, venerdì sera: «Se fossi presidente
di una Regione con 7 Provincie e 22 Asl le ridurrei con le relative
poltrone, magari aiuterebbe ad avere migliori risultati». Luca Zaia
governatore del Veneto si è riconosciuto nell’esempio ed ha
replicato con veemenza: «Sono allibito. Forse non sa che il nostro
sistema è in attivo da 5 anni senza aver mai introdotto addizionali
Irpef. Renzi sfrutta la sua veste istituzionale per fare campagna
elettorale».
La proposta del presidente del Consiglio fa
discutere. Le Asl italiane sono 139 alle quali si aggiungono le 86
ospedaliere e universitarie. Secondo i dati del ministero della
Salute, aggiornati al 2015 e rielaborati da Quotidiano Sanità, il
primato è del Veneto, con 21 (anziché le 22 citate da Renzi), il
record delle universitarie-ospedaliere è della Lombardia, con
29.
Non c’è un’indicazione nazionale sul contenimento. Le
Regioni hanno dunque deciso autonomamente di tagliare ritenendo che
la soluzione porti risparmi di soldi e poltrone (l’hanno già fatto
Friuli ed Emilia Romagna). In Lombardia è in corso un processo che
porterà alla nascita di un’unica Agenzia di tutela della Salute,
con funzioni di programmazione, acquisto e controllo. Organismo di
supporto tecnico amministrativo a aziende sociosanitarie territoriali
con un bacino di utenza sotto i 600 mila abitanti. In Umbria il
taglio risale al 2012, sopravvissute le Asl di Perugia e Terni. Un
grande vantaggio afferma la presidente Catiuscia Marini: «Il 60%
degli acquisti avvengono attraverso una centrale unica. Le Asl fanno
solo organizzazione dei servizi sul territorio. D’accordo con
Renzi».
Ma per il cittadino cosa cambia? Enrico Desideri
vicepresidente nazionale di Anci, l’associazione dei Comuni,
rassicura: «C’è il timore che la sanità si allontani. Invece se
come abbiamo voluto in Toscana le amministrazioni delle città
potranno intervenire sulla programmazione ci saranno servizi migliori
specie per i più deboli, come gli anziani grazie all’integrazione
col sociale». Teresa Petrangolini, consigliere della commissione
sanità del Lazio, ricorda l’unificazione entro il 2015 di RmA e
RmE nella Capitale: «Se avremo indicazione di continuare non c’è
problema». Quanto rende l’operazione in tema di risparmi?: «Noi
abbiamo quasi dimezzato, da 13 a 7 aziende — risponde Raffaele
Calabrò, delegato per la sanità in Campania, in piano di rientro —.
Però calcolare gli effetti sugli sprechi è difficile. In generale
siamo quelli che hanno ridotto maggiormente i debiti».
E i
vantaggi sulla perdita di poltrone? Andrebbero verificati. Troppo
spesso chi viene scalzato dalle stanze dei bottoni, anche se per
comportamenti non virtuosi, viene ricollocato da un’altra parte.
Giovanni Monchiero, past president di Fiaso, la federazione dei
direttori generali Asl, deputato di Scelta Civica, è molto irritato:
«Non hanno di meglio da proporre e allora tornano sul vecchio
modello del sistema centralizzato, della burocrazia, strada già
percorsa, inutile. Un dirigente guadagna meno di un medico, 120-130
mila l’anno. Va motivato, non umiliato».
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