Corriere della Sera 03/04/15
Paolo Valentino
Il «grande giorno» è arrivato. E
anche se le narrazioni dei protagonisti divergono in qualche punto, è
difficile negare il valore politico e la portata storica dell’accordo
quadro sul nucleare iraniano, raggiunto dopo una maratona negoziale
lunga otto giorni tra i Paesi «5+1», l’Iran e l’Unione
europea.
Per la prima volta Teheran accetta limiti robusti per
dieci anni al suo programma nucleare, sottoponendosi a un severo
regime di verifiche e controlli, ma ottiene in cambio il principio
dello smantellamento delle sanzioni che hanno messo in ginocchio la
sua economia, una volta che gli ispettori dell’Onu avranno
verificato il rispetto dei patti.
Certo il compromesso finale
rimane da completare; certo la partita tecnica, che si apre adesso e
dovrà concludersi entro giugno, è disseminata di trappole, densa di
dettagli nei quali per definizione si cela sempre il maligno. Ma con
le parole di Philip Hammond, ministro degli Esteri di Sua Maestà
britannica, non uno dei più morbidi fra quanti sedevano al tavolo di
Losanna, «il risultato odierno va molto oltre quanto molti di noi
pensassero possibile ancora 18 mesi fa ed è una buona base per
quello che può diventare un ottimo accordo».
«Ora abbiamo i
parametri per risolvere le questioni principali del programma
nucleare iraniano», ha detto il segretario di Stato americano, John
Kerry, che più di ogni altro si è speso nella trattativa e in
questo successo trova parziale compensazione per tutti i fallimenti
incassati nel processo di pace israelo-palestinese. Anticipando
critiche e obiezioni, in primis quella di Israele che ha già
definito l’intesa come «disconnessa dalla realtà», Kerry ha
difeso la scelta americana: «Chiedere semplicemente che l’Iran
capitolasse è una bella frase, ma non una politica, non un piano
realistico».
La dichiarazione congiunta che ha suggellato
l’intesa è stata letta in inglese da Federica Mogherini e in farsi
da Mohammad Javad Zarif, il ministro degli Esteri di Teheran, l’altro
grande protagonista di queste convulse giornate. «È il primo passo
verso un mondo migliore», ha detto Mogherini.
Più cauto
l’iraniano, probabilmente anche pensando alla platea di casa, dove
l’ala dura del regime è pronta a bollare ogni parvenza di
cedimento: «In passato abbiamo costruito tanta reciproca sfiducia.
Spero che attraverso la coraggiosa applicazione di quanto concordato
oggi, sapremo ripristinare mutuo rispetto e comprensione».
Zarif
ha anche aggiunto che i rapporti tra Iran e Stati Uniti non hanno
nulla a che vedere con l’intesa nucleare. Una frase probabilmente
dovuta, ma che sicuramente contiene un fondo di verità. Anche se da
qui a giugno tutto dovesse andare a segno, 35 anni di ostilità e
reciproca demonizzazione tra Washington e Teheran non svaniranno per
incanto, né il regime persiano muterà improvvisamente da nemico o
avversario in alleato dell’America e dell’Occidente. Ma ci sono
pochi dubbi che un successo finale aprirà nuove dinamiche e
prospettive nel Grande Medio Oriente.
«L’Iran — ha detto il
ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov — potrà partecipare più
attivamente alla risoluzione di un certo numero di problemi e di
conflitti in quella regione». Anche il presidente del Consiglio,
Matteo Renzi, ha parlato di «storico» accordo: «L’impegno
condiviso della Comunità internazionale mira a prevenire la
proliferazione nucleare e a rendere il mondo più sicuro. L’Italia
darà il suo convinto contributo per assicurare una piena attuazione
delle intese».
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