Corriere della Sera 22/04/15
Francesco Verderami
Ha aperto il Consiglio dei ministri
citando l’«Undici Settembre», e c’è un motivo se ha accostato
quella data alla crisi nel Mediterraneo: equiparando le tragedie dei
migranti al terrorismo internazionale, Renzi ha annunciato al suo
governo che «i nostri partner europei hanno voluto dare un
riconoscimento forte all’emergenza», perché «non era mai
accaduta nella storia dell’Unione la convocazione di un summit
straordinario con un solo punto all’ordine del giorno. Tranne in un
caso: all’indomani dell’attentato alle Torri
Gemelle».
L’evocazione del drammatico precedente serve al
premier per aprire politicamente la strada a una risposta che —
dato il paragone — mette ormai nel conto una reazione rapida a un
atto di natura terroristica: «E la risposta alla crisi non può che
essere anzitutto europea». Stavolta Renzi dovrà andare molto veloce
per ottenere quanto prima dalla comunità internazionale un ombrello
diplomatico e un appoggio militare, così da evitare che in estate la
marea di disperati provenienti dalla Libia si trasformi in un’onda
talmente alta da sommergere anche il suo governo.
Perché questo
è il punto, «e il premier — come racconta un autorevole ministro
— ha piena consapevolezza del problema», dopo che per un anno non
ha voluto metterci la faccia, derubricando il dossier a questione di
ordine pubblico. Fino ad oggi era infatti toccato al Viminale stare
in trincea, sebbene — poco prima dell’ultima mattanza in mare —
durante un riunione del suo partito Alfano avesse annunciato che «la
priorità sta cambiando. Dal nodo dell’accoglienza dei migranti si
sta per passare al nodo della partenza dei migranti. Se non si
reagirà per tempo, l’onda sarà così alta che sovrasterà il mio
dicastero e s’infrangerà su Palazzo Chigi».
La «priorità»
è cambiata, e ora tocca a Renzi gestire questo «Undici Settembre»
italiano, con tutte le incognite che l’operazione si porta
appresso, se è vero che — come gli hanno spiegato i vertici
militari — «sarebbe simile solo a quella fatta in Somalia», con
la differenza che la Libia è dietro il giardino di casa. E siccome
bisogna preparare il Paese e il Palazzo agli eventi, alla vigilia del
summit europeo il premier ha deciso di recarsi in Parlamento, nel
tentativo di creare — grazie al dibattito — un clima da unità
nazionale con il voto sulle risoluzioni.
Sarà impossibile
raggiungere un compromesso con grillini, leghisti e vendoliani,
mentre è in corso un tentativo di accordo con i forzisti. Ieri il
vice capogruppo del Pd Martella si è tenuto in contatto con il
presidente dei deputati azzurri Brunetta: non sembra praticabile la
strada del documento comune, perché il Pd non può mostrarsi troppo
in sintonia con Forza Italia separandosi eccessivamente da Sel, e
perché a sua volta Forza Italia non può apparire troppo distante
dalla Lega. Perciò è più probabile che i due gruppi arrivino a un
voto incrociato su due distinte mozioni. Ma non c’è dubbio che il
dialogo sia avviato, in virtù di reciproche convenienze.
Per un
Renzi che non vuole finire politicamente in fuori gioco su un tema
che fa presa sull’opinione pubblica e persino sugli amministratori
locali del suo partito, c’è un Berlusconi che in qualche modo
vuole rientrare nei giochi per tentare di uscire dall’isolamento in
cui si è cacciato e allontanarsi dal cono d’ombra di Salvini. Di
qui la sua proposta di un «tavolo di coesione nazionale» sulla
crisi libica, che è stata apprezzata da palazzo Chigi e rilanciata
con uno scritto sul Foglio dal vice presidente dei senatori
democratici Tonini. È tutto da costruire, ma non è un caso se
Tonini si spinge a immaginare un «patto di consultazione con le
forze di opposizione», sul modello già adottato proprio da
Berlusconi quando da premier dovette gestire i rapimenti di cittadini
italiani in Iraq.
Il voto di oggi in Parlamento potrebbe quindi
rappresentare un primo passo di (ri)avvicinamento tra gli (ex)
nazareni, in un impasto di contraddizioni che impediscono a entrambi
di riprodurre il vecchio schema, semmai ci fosse la volontà. Anche
perchè, in fondo, a Renzi la «copertura politica» nazionale
servirà fino a un certo punto. È sullo scacchiere internazionale
che giocherà la sua partita, non nello scenario domestico, dove
semmai «gli eventi — per dirla con Alfano — stanno dimostrando
quanto fossero provinciali certe polemiche di bassa lega elettorale»:
«La crisi ha un’altra dimensione».
E Renzi, che mostra a
sinistra il suo profilo umanitario e a destra il suo profilo
interventista, si appresta a quella che ha definito «la mia prova
più importante». È un rischio e al contempo un’occasione:
nell’era del multipolarismo può tentare di ritagliarsi uno spazio
con la missione libica. Roba da corsi e ricorsi storici.
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