TOMMASO CIRIACO
La Repubblica 3 aprile 2015
Allenta la cravatta, piega la giacca e
si accomoda sulla poltrona del barbiere di Montecitorio. È il rito
con il quale Graziano Delrio inganna l’attesa. Mancano venti minuti
al consiglio dei ministri convocato per nominarlo ministro delle
Infrastrutture. «Avevo programmato di tagliare i capelli da tempo.
No, davvero: il giuramento non c’entra». Le braccia sono bloccate
dal telo. Volge lo sguardo verso l’alto per indicare la chioma
brizzolata: «Sono lunghi e mi danno fastidio, allora approfitto di
questo momento di eccessiva calma...». L’ultimo della giornata,
perché a sera giurerà al Colle. «Ho trascorso con Renzi l’intera
mattinata. E anche questa decisione, come le altre, l’abbiamo presa
assieme. Lui e io siamo come fratelli ».
Tutto è iniziato all’alba, quando ha
attraversato il cortile di Palazzo Chigi per raggiungere i suoi
uffici. A metà mattinata ha iniziato a riempire gli scatoloni. Un
rapido, ma minuziosissimo trasloco. Quando arriva alla Camera
incontra il deserto.
Tutti in vacanza per un lunghissimo
ponte. «Vado a fare qualcosa di più rilassante, dice? Non sono così
sicuro, a dire il vero. Certo, il sottosegretario era un ruolo molto
impegnativo». Un autentico massacro, nei racconti dei predecessori.
Mille grane, mille mediazioni. «Ma anche il ministro delle
Infrastrutture ha una mole di cose da fare - prevede Delrio - E poi
la delicatezza del passaggio, del momento...». Il punto è proprio
questo, perché la nomina arriva dopo la bufera che ha costretto
Maurizio Lupi alle dimissioni.
«Bisogna soprattutto far partire i
cantieri. Andiamo oltre la crisi anche se riusciamo in questo
obiettivo».
Il programma è ambizioso. Non a caso
la vigilia della nomina è spesa al telefono, per una serie di
colloqui informali. Vuole costruire una squadra, e intende farlo in
fretta.
Delrio è considerato un fedelissimo
del premier.
Eppure più di qualcuno racconta un
film diverso. Fatto di divergenze con Renzi e qualche tensione di
troppo. Forse è per questa ragione che Delrio finisce da mesi,
puntualmente, in ogni totonomine possibile.
Non succederà più, sorride, mentre la
forbice del barbiere continua a tagliare. «Freddezza con Renzi? Ma
di cosa parlano, è tutta pura invenzione. Invenzione di sana pianta.
Io e Matteo siamo davvero come fratelli. Non c’è nessun tipo di
problema, abbiamo cominciato assieme». In effetti, Delrio è forse
il primo dei renziani. «Appunto! Abbiamo iniziato e continuato
assieme. Anzi, anche in questo caso abbiamo deciso assieme, come
tutte le altre volte». Con un metodo infallibile, giura: «Valutando
le cose che sono più utili e chi le può fare meglio».
Hanno valutato questo nuovo inizio alle
Infrastrutture. Delrio si tufferà nella sfida, accettando di restare
ancora lontano dalla sua Reggio Emilia. E dalla numerosissima
famiglia, ben nove figli. Cambia comunque poco, visto che i ritmi da
sottosegretario erano già altissimi: «Da questo punto di vista non
ci sono grosse differenze, il sacrificio per la famiglia è che io
stia a Roma». Il barbiere ha finito, tutto è in ordine per il
giuramento. Sta per indossare la giacca, quando si affaccia il
ministro degli Esteri Paolo Gentiloni per un saluto. Due renziani al
governo, in due ministeri di peso. Non si conosce invece il nome del
successore di Delrio: «Ne abbiamo parlato, ma non so se il
Presidente ha assunto le determinazioni definitive. Comunque il
sottosegretario alla Presidenza non deve giurare al Quirinale, ma a
Chigi. Quindi non deve farlo stasera». Va via da Montecitorio così
come era arrivato. Da solo, a passo veloce. Euforia e qualche
pensiero in più, visto che va ad occupare una poltrona scomoda. La
accoglie con un sorriso: «Il mio stato d’animo? Soddisfatto. E un
po’ preoccupato ».
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