GOFFREDO DE MARCHIS
La Repubblica 14 aprile 2015
«Siamo pronti a contarci ». Stavolta
lo scontro tra Matteo Renzi e la minoranza del Pd non ammette
scorciatoie del tipo non partecipazione al voto, appelli o documenti
di riflessione. Domani si riunisce l’assemblea del gruppo e le
posizioni sono cristallizzate: il governo e i renziani chiedono di
approvare l’Italicum definitivamente entro maggio, i dissidenti
pretendono delle modifiche e il ritorno della legge al Senato. «Non
dividiamo il Pd», si leggeva nel testo depositato da Area
Riformista, la corrente che fa capo a Roberto Speranza. Ma adesso
questo esito sembra inevitabile a entrambe le parti. Anzi, i ribelli
auspicano un chiarimento finale. «Ci contiamo e mettiamo agli atti
la nostra posizione».
Il pericolo, per la minoranza, è la
frammentazione. Perché nella pattuglia di 100-110 deputati contrari
(un terzo del gruppo parlamentare) c’è chi vuole scatenare un
assalto alla leadership renziana, chi più semplicemente pensa di
evitare la fiducia che romperebbe davvero il patto su cui si fonda il
Pd e chi è disposto a valutare eventuali cambiamenti della riforma
costituzionale. Insomma, il premier punterà a far emergere queste
differenze, a dividere il fronte del dissenso e non troverà molti
ostacoli se vuole affondare il colpo. Però l’auspicio di Speranza
è che faccia bene i conti con le conseguenze. «Senza un colpo
d’ala, una sorpresa dell’ultimo minuto — racconta un deputato
molto vicino al capogruppo — la legge elettorale non verrà votata
da Bersani, Cuperlo e Civati. Significa che si sifleranno il
candidato premier del Pd alle ultime elezioni e i due sfidanti di
Renzi alle primarie che insieme hanno preso il 30 per cento. Noi
pensiamo che il problema sia soprattutto di Matteo, oltre che nostro.
Sul serio vuole minare le fondamenta del partito?».
Bastano quei tre nomi a dare l’idea
dello strappo profondissimo che si avvicina dietro l’angolo. Una
strappo che avrebbe veramente il sapore della scissione, che non
potrebbe rimanere privo di effetti collaterali. Oggi si riuniscono
gli 85 deputati di Area riformista che hanno firmato il documento.
«Dovremo prendere atto della risposta negativa del governo», dice
Alfredo D’Attore, uno dei più decisi ad affrontare lo scontro
finale con Renzi. In effetti, i margini sono nulli. C’è un testo
scritto pubblicato la scorsa settimana e la replica laconica di Maria
Elena Boschi: «Non si cambia nulla». L’indirizzo della riunione
di stamattina sarà inevitabilmente quella di un voto contrario alle
parole che Renzi pronuncerà domani nell’assemblea del gruppo. «Se
apre a un cambiamento naturalmente sarà una novità molto positiva.
Se chiude non si fugge dalla conta», ammette un bersaniano. Per il
momento, aperture nessuna.
In serata Speranza e Renzi si
sentiranno per organizzare la riunione del giorno dopo. In questi
giorni ci si è mossi senza rete. Nessun contatto degli ambasciatori,
nessuna efficace diplomazia. Come se le cose fossero già molto
chiare e il premier non vedesse l’ora di verificare la tenuta della
minoranza anche sotto l’effetto della minaccia rappresentata dal
voto di fiducia. I dissidenti sono sorpresi e confusi dal silenzio di
Palazzo Chigi. Perché anche loro sono adesso obbligati a dire
l’ultima parola. Nel gruppo parleranno tutti (Bersani, Cuperlo e
gli altri). Sul no all’Italicum a scatola chiusa è probabile che i
numeri saranno alti, fino a sfiorare quota 100. Ma sul dopo, in caso
di braccio di ferro, possono aprirsi varie crepe nella minoranza.
«Noi dobbiamo votare contro ma non per scatenare la terza guerra
mondiale — dice un trattativista —. Altrimenti Renzi ci
criminalizza e ci usa per mettere il voto di fiducia».
Nel caos che si vive nell’area del
dissenso spuntano le proposte più strambe per superare l’ostacolo.
Alcuni deputati pensano che grazie alla clausola di salvaguardia (la
legge entra in vigore dopo il giugno 2016) ci sia ancora il tempo di
aggiustare le cose. «Può passare l’Italicum e in un’altra fase
politica si può rimettere mano alla legge». Una fantasia
galoppante, non c’è che dire. Altri invece affronteranno il
confronto diretto con il premier- segretario seguendo l’onda dei
principi non negoziabili. «Senza cambiamenti la legge non è
votabile - avverte D’Attorre -. E se Renzi mette la fiducia, una
scelta davvero al limite, si mette in una posizione che noi non
accetteremo ".
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