Corriere della Sera 18/04/15
Fiorella Sarzanini
Le parole del prefetto di Bologna
riassumono bene quanto sta accadendo, in questi giorni, nel nostro
Paese. «Noi salviamo vite», ha risposto il rappresentante del
governo a chi mostrava preoccupazione per l’arrivo di centinaia di
migranti in Emilia-Romagna. È vero. Salviamo vite e assistiamo
donne, uomini e bambini approdati in Italia per sfuggire alla guerra
e alla miseria. Accogliamo migliaia di disperati pur non avendo le
strutture adatte per farlo, né un piano strutturale adeguato, visto
che bisogna fare i conti con le resistenze di alcuni governatori
regionali e numerosi sindaci determinati a respingere l’arrivo
degli stranieri sul proprio territorio.
La temuta invasione
sembra essere cominciata. I diecimila stranieri giunti in Italia
negli ultimi sette giorni sono il segnale di una situazione che,
entro poche settimane, rischia di diventare difficilmente gestibile.
Anche perché è salito in maniera pericolosa il livello di
aggressività degli scafisti, fino a trasformare il Mediterraneo in
un teatro di battaglia.
I colpi sparati lunedì scorso da
quattro uomini a bordo di una motovedetta libica, che così sono
riusciti ad ottenere dal comandante del rimorchiatore «Asso 21» la
restituzione del barcone utilizzato per traghettare centinaia di
persone, sono stati il primo, gravissimo, segnale di allarme. La
rissa scoppiata a bordo di un gommone con alcuni giovani cristiani
che hanno raccontato di aver visto i loro amici picchiati e poi
gettati in mare dai musulmani mostra la ferocia che può scatenarsi
quando si vive in condizioni disumane.
L’assalto di ieri al
peschereccio siciliano trainato fino alle acque libiche è la
conferma che ormai nulla si può escludere, perché i gruppi
criminali sono disposti a tutto pur di incrementare il traffico di
esseri umani.
Molto altro può accadere: la determinazione di
questi scafisti rischia di avere conseguenze ancora peggiori. Eppure
nulla si muove. L’Italia rimane sola a fronteggiare la minaccia e
soprattutto l’emergenza. Qualche giorno fa, di fronte all’ultima
ondata di sbarchi, un portavoce dell’Onu ha riconosciuto al nostro
Paese il merito di affrontare questi eventi portando interamente il
peso dell’Europa. Poteva essere l’occasione per uno sforzo comune
che coinvolgesse tutti gli Stati membri di fronte a un’emergenza
umanitaria ormai innegabile.
È accaduto esattamente il
contrario. Da Bruxelles si sono affrettati a precisare che nessuna
iniziativa sarà presa. Anzi, è stato specificato che «non c’è
alcuna volontà di rafforzare l’operazione marittima, pur nella
consapevolezza dei limiti della missione Triton». Quella nota
ufficiale dei ministri degli Affari europei di Fra ncia, Germania,
Italia e Slovacchia per sollecitare «una reazione forte e comune
dell’Europa, una risposta risoluta e una politica migratoria comune
e coerente di fronte agli ultimi tragici eventi nel Mediterraneo»
appare tanto retorica quanto inutile. Soprattutto incoerente, visto
che proviene da coloro che dovrebbero essere parte attiva di questa
«politica», promotori di iniziative concrete e urgenti.
Il
nostro rappresentante non avrebbe dovuto neanche firmarla, proprio
perché non ha alcun valore effettivo, anzi rappresenta la prova che
ogni tentativo di ottenere collaborazione dagli altri Paesi è ormai
miseramente fallito. Come fallita è la speranza di poter fermare gli
arrivi dei migranti mettendo qualche decina di mezzi navali a trenta
miglia dalle coste siciliane.
A questo punto è necessario
varare nuove regole che proteggano gli uomini impegnati nelle
operazioni di soccorso e salvataggio in mare. E l’Italia deve farlo
in piena autonomia, per prevenire conseguenze che possono essere
drammatiche. La Libia è ormai fuori controllo, siamo esposti a un
pericolo sempre più tangibile. Restare inerti e isolati rischia di
avere esiti tragici. È inutile illudersi di riuscire a trovare
collaborazione internazionale. Bisogna agire da soli e farlo prima
che sia troppo tardi.
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