Corriere della Sera 22/04/15
Elvira Serra
Arturo, cinque anni e mezzo: «Mamma,
perché queste persone di colore vengono da noi?». Perché sono
disperate. «E perché le lasciamo morire nel mare?». Perché non
riusciamo a salvarle tutte: le loro barche sono piccole e loro sono
tantissimi. «Ma allora dobbiamo andare noi a prenderli, con le
nostre barche! Se io fossi là vorrei che qualcuno mi venisse ad
aiutare». Lo psicoterapeuta Fulvio Scaparro considera positivo
questo dialogo, vero, tra madre e figlio. «Le domande del bambino
sono un buon segno, avrà tutto il tempo per diventare cinico...».
Le tragedie del mare non sono più una eccezione, ma una drammatica
regola. Ed è indispensabile aiutare i nostri figli a metabolizzarla.
In che modo, però? «Senza fare convegni, scegliendo parole
semplici. Per esempio dicendo che chi cerca di scappare dal suo Paese
per raggiungere l’Italia si affida a persone come il Gatto e la
Volpe di Pinocchio, che promettono di aiutarlo in cambio di soldi, ma
in realtà se ne approfittano». È difficile contenere l’impatto
delle immagini sugli schermi televisivi. «E infatti non dico che sia
necessario oscurarli, ma di sicuro i bambini non devono essere
lasciati soli a guardarli, hanno bisogno di un adulto vicino pronto a
rispondere a qualunque domanda. Anche se due minuti dopo si
metteranno a giocare: l’importante, per loro, è aver percepito
l’attenzione del genitore». Talvolta l’ansia e la preoccupazione
degli adulti si trasmettono nonostante gli sforzi di apparire sereni.
«Sì, ed è il rischio maggiore. Un figlio non deve avere la
sensazione del disastro imminente, ma sentire che anche i suoi
genitori possono fare qualcosa, magari con un piccolo gesto fatto
nella propria città». E arrendersi e considerare questi eventi come
parte del nuovo mondo? «Mai. Fossimo anche gli ultimi sulla terra a
pensarlo, non dobbiamo concederci nessuna resa».
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