Corriere della Sera 04/04/15
M.Antonietta Calabrò
In media ogni mese 322 cristiani
vengono uccisi nel mondo a causa della loro fede, 214 fra chiese ed
edifici di proprietà di cristiani sono distrutti o danneggiati e 722
sono gli atti di violenza perpetrati nei loro confronti. Le
statistiche sono di opendoorsusa.org un’organizzazione non profit
evangelica che assiste cristiani perseguitati di tutte le confessioni
(cattolici, protestanti, ortodossi) in più di sessanta
Paesi.
Ormai, è uno stillicidio che si consuma ogni giorno
tanto che sul sito persecution.org è possibile monitorare
quotidianamente, nazione per nazione, i nuovi casi di persecuzione di
fedeli, per il solo fatto della loro fede, cioè perché credono in
Gesù Cristo. Al tempo stesso è — come ha detto Papa Francesco —
«la persecuzione che il mondo cerca di nascondere», nonostante oggi
ci siano più martiri che ai tempi dei primi cristiani.
Nel 2014
e nel primo trimestre 2015, i cristiani si confermano, inoltre,
ancora una volta, il gruppo religioso maggiormente perseguitato.
Colpiti quando sono una minoranza oppressa, ma anche quando sono in
maggioranza come è accaduto due giorni fa, in Kenya. In Medio
Oriente (dall’Iraq alla Siria) sono scacciati dai territori in cui
hanno abitato da secoli, se non da millenni, ormai completamente
sconvolti dall’avanzata dell’Isis. Con una ferocia indicibile. È
dello scorso febbraio la denuncia di un Rapporto del Comitato per i
diritti dell’Infanzia dell’Onu contro i militanti del Califfato,
accusati di vendere i bambini iracheni catturati, come schiavi del
sesso, o di averne uccisi altri «con la crocifissione o
seppellendoli vivi».
In Asia tra i Paesi più pericolosi per i
cristiani si annoverano il Pakistan e la Cina. Nel 2015 e per il
tredicesimo anno consecutivo la Corea del Nord è al primo posto tra
i Paesi in cui si sono registrate le forme di persecuzione più
gravi.
In India, dopo una serie di attacchi alle chiese della
capitale, New Delhi, per garantire la sicurezza durante la Settimana
Santa, sono stati schierati diecimila poliziotti contro l’estremismo
indù. In Africa il rischio è elevato in Nigeria e in Egitto (dove a
un mese dal martirio dei 21 cristiani copti decapitati in Libia, la
Chiesa loro dedicata è stata assaltata con bombe incendiarie), nella
Repubblica Centroafricana, in Eritrea e in Somalia.
Ma la
violenza jihadista che si è scatenata contro gli studenti cristiani,
Giovedì Santo, in Kenya, segna un ulteriore salto di qualità. «La
situazione sembra evolvere in modo negativo» è scritto nel focus
dedicato al Kenya dal Rapporto 2014 della Fondazione di diritto
pontificio «Aiuto alla Chiesa che soffre» (Acs). Una scheda-Paese
che è stata purtroppo profetica. In Kenya, infatti, i cristiani sono
la maggioranza — l’84,8 per cento — ma le tensioni religiose,
connesse a una situazione politica complessa, ormai mietono molte
vittime cristiane. E così se nella classifica dei Paesi stilata da
Acs il Kenya è ancora a «rischio medio», è tuttavia segnalato «in
peggioramento».
Le tensioni etniche e religiose nel Paese,
negli ultimi due anni, sono state aggravate dall’offensiva
dell’esercito contro le forze islamiste di al-Shabaab, nella vicina
Somalia. «Le forze di sicurezza del Kenya sono state accusate di
essersi scagliate contro cittadini sospetti di religione musulmana,
sulla scia di una serie di attacchi contro civili e gruppi religiosi
da parte di membri di al-Shabaab», scrive il rapporto. E in alcuni
assalti, «i non-musulmani sarebbero stati prescelti come vittime per
punire il governo di Nairobi per il suo sostegno alla missione
dell’Unione africana in Somalia, inviata peraltro nel Paese sotto
l’egida dell’Unione Africana».
Redatto da giornalisti,
esperti e studiosi, il documento dell’Acs prende in esame il
periodo compreso tra l’ottobre 2012 e il giugno 2014.
In 116
dei 196 Paesi analizzati, quasi il 60%, si registra un violento
disprezzo per la libertà religiosa (verso tutte le religioni). E la
situazione è «preoccupante» anche in America Latina. In Messico,
ad esempio, dove in pochi mesi cinque preti sono stati uccisi per
aver condannato il traffico di droga e il crimine organizzato. Nei
due anni esaminati sono stati rilevati cambiamenti in 61 Paesi, ma
purtroppo soltanto in sei di questi — Cuba, Emirati Arabi Uniti,
Iran, Qatar, Taiwan e Zimbabwe — tali trasformazioni hanno coinciso
con un miglioramento.
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