Corriere della Sera 16/04/15
Dino Martirano
La linea ai ribelli l’aveva suggerita
Pierluigi Castagnetti via Twitter: «Sull’Italicum la minoranza del
Pd potrebbe fare come i dossettiani sull’adesione alla Nato. Voto
contrario nel gruppo, voto favorevole in Aula....». Ma neanche
questa alchimia tutta democristiana ha retto davanti allo sfarinarsi
delle opposizioni interne del Pd. In risposta alla linea
intransigente di Matteo Renzi — «Avanti senza indugi con la legge
elettorale che non si cambia più» — il capogruppo Roberto
Speranza ha rimesso il mandato all’assemblea e per evitare lo
scontro frontale (e le conte) la componente di Area riformista
(bersaniani, dalemiani e seguaci di Letta) guidata dal medesimo
Speranza alla fine non ha partecipato al voto sulla proposta del
segretario. Che nella notte è stata approvata a maggioranza (190 sì,
mancavano 120 all’appello): «Siamo profondamente divisi, ma il
confronto tra tutte le posizioni non può essere ridotto a un derby»,
ha replicato Renzi.
Nelle stesse ore, però, è scoppiata una
grana addirittura più pericolosa per Renzi che non ha escluso di
porre al fiducia sulla legge elettorale per «evitare la palude»
della decina di voti segreti. Forza Italia, Fratelli d’Italia e
Lega (per i grillini il «passo è prematuro») hanno scritto al
presidente della Repubblica denunciando «lo strappo costituzionale»
se si mette la fiducia sulla legge elettorale: «L’Italicum è una
scelta eversiva di un dittatorello di provincia», ha detto Renato
Brunetta (FI). Dal Quirinale Sergio Mattarella per ora segue con
attenzione l’evolversi dell’iter parlamentare e si guarda bene
dall’interferire con l’attività della Camera.
Dunque Matteo
Renzi — citando il Libro della Giungla di Kipling («Ci sono troppi
sciacalli Tabaqui») — ha chiesto al gruppo parlamentare un voto
chiaro per confermare la strada già tracciata dalla direzione pd:
approvare definitivamente a maggio l’Italicum, anche se «non è la
legge elettorale perfetta». Chiudere la discussione sulla legge
elettorale «perché il testo è già stato oggetto di mediazione e
di miglioramenti al Senato e il relatore Migliore (prima contrario,
con la casacca di Sel, e ora favorevole con quella del Pd, ndr) è il
simbolo del cambiamento».
I motivi per votare l’Italicum, ha
argomentato Renzi, sono 5: «1) Tecnicamente funziona; 2) è in linea
con la storia del Pd; 3) il governo è legato alla legge elettorale;
4) si riafferma il primato della politica; 5) il Pd ha salvato il
Paese dalla palude e ora bisogna lavorare al Paese dei prossimi 20
anni». Per addolcire la pillola il segretario ha aperto sulle
modifiche alla riforma costituzionale e ha annunciato per il 27 una
direzione sul caos periferia del Pd: «Io i nostri amministratori non
li lascio soli».
Dopo Renzi ha parlato Speranza: «Errore grave
procedere così sulla legge elettorale, la stiamo facendo da soli e
pure divisi...». Detto questo, Speranza si è dimesso ed è
intervenuto duro anche Pier Luigi Bersani ma è mancata la spallata e
già si inizia a lavorare al dopo-Speranza (in lizza, tra gli altri,
Rosato, Richetti, Amendola). Ora si prevede un Italicum senza voti in
I commissione e poi, solo a maggio, si capirà se Renzi è disposto a
rischiare in Aula 10 voti segreti oppure se utilizzerà lo
scudo-fiducia (ci sarà comunque un voto finale segreto) sfidando
l’Aventino delle opposizioni. E regalando anche alla minoranza Pd
un facile slogan per l’ultima battaglia, a quel punto di
retroguardia.
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