Corriere della Sera 26/04/15
Francesco Verderami
In famiglia conoscono la politica per
averla frequentata, «dopo vent’anni vissuti accanto a nostro padre
sappiamo bene cosa significa farla, sappiamo che è un inferno»,
dice Pier Silvio Berlusconi. Ma «l’inferno» ha un enorme potere
attrattivo, e può accadere che si confonda per missione quella che
in fondo è una tentazione. Periodicamente si è raccontato che i
figli dell’ex premier fossero prossimi a varcare quella soglia, a
volte sospinti a volte attratti, sebbene le voci siano sempre state
smentite dagli eventi. Tuttavia non c’è dubbio che a casa
Berlusconi il tema continui a essere al centro della discussione, se
è vero che Pier Silvio qualche settimana fa — incontrando alcuni
dirigenti liguri di Forza Italia — abbia confidato il suo pensiero:
«Sappiamo bene che la politica è un inferno, ma sarebbe un peccato
se questo patrimonio andasse disperso».
Così le dichiarazioni
di Marina contro Renzi hanno alimentato l’idea che il progetto di
famiglia non sia stato (del tutto) accantonato. Sia chiaro, non c’è
nulla di imminente, anzi. In questi ultimi anni — fianco a fianco
con il padre — la figlia sostiene di aver maturato «diffidenza e
avversione verso le logiche della politica». Inoltre l’affondo nei
riguardi del premier aveva un obiettivo tutto interno al gruppo, si
trattava di un esercizio di leadership aziendale, un modo cioè per
affermare definitivamente una linea non più condiscendente verso il
capo del Pd, «anche perché le nostre società sono quotate in borsa
e noi non abbiamo nulla da temere». Insomma, la numero uno di
Mondadori si è mossa fuori dal perimetro del famoso «campo», ma
proprio il piglio mostrato con Renzi non esclude una sua «discesa in
campo» .
La politica è fatta di opportunità e di timing, e
dunque solo se questi due fattori dovessero combaciare tornerebbe in
agenda per Marina la necessità di dover decidere che fare. Tra
l’ottobre e il novembre del 2013 fu davvero a un passo
dall’ufficializzare la sua candidatura a premier. E se il governo
Letta fosse caduto, portando il Paese alle urne, era già pronto il
suo discorso: «Mai avrei immaginato di trovarmi su questo palco»,
recitava l’incipit. Con la chiusura di quella finestra elettorale,
la figlia di Berlusconi riteneva definitivamente chiusa
quell’esperienza mai iniziata.
Però qualcosa sta cambiando,
lo si intuisce dalle mosse del padre che lavora alla nascita di un
nuovo rassemblement di centrodestra sul modello dei Repubblicani
statunitensi. Immagina una ripartenza, «penso a un altro ‘94»,
dice mentre studia gli amatissimi sondaggi, dentro i quali ci sono
anche — guarda caso — i report che testano il gradimento di
Marina. Ma per produrre davvero degli effetti, «un altro ‘94»
deve prevedere — come allora — un leader nuovo e una nuova
formazione politica, per dare risalto alla rottura rispetto al
passato. Questo determinò venti anni fa il successo di Forza Italia
e del suo cavaliere. Perciò venti anni dopo non possono più essere
riproposte all’elettorato né Forza Italia né il suo
cavaliere.
Solo se fosse questo il disegno, avrebbe un senso ciò
che Berlusconi sta facendo, con la dismissione della sua creatura e
dell’intero gruppo dirigente. Ecco il motivo che lo indurrà a
togliere il proprio nome dal simbolo del partito alle prossime
Regionali. Sarà un modo per non intestarsi la sconfitta e per
avviare un processo di ristrutturazione che richiama le operazioni
finanziarie: Forza Italia diventerà la «bad company» dove
scaricare un fatturato politico che è a saldo negativo e che non
dovrà pesare sul bilancio della «newco». «In attesa di trovare un
nuovo leader, dobbiamo costruire un nuovo partito», ha detto l’altra
sera ai gruppi parlamentari. Ed è naturale l’ostilità di chi si
sente già rottamato, si capisce la reazione di Denis Verdini, ormai
prossimo al distacco, e che ritiene di aver scorto il disegno: «Più
volte Silvio ha iniziato a preparare sua figlia, ma lei non è il
padre. E comunque io vado avanti per la mia strada».
Si vedrà
se i Berlusconi prenderanno l’eredità politica di Berlusconi per
evitare che «il patrimonio vada disperso». Servirà che coincidano
timing e opportunità, perché oltre i voti c’è da gestire anche
l’altro patrimonio di famiglia.
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