Corriere della Sera 25/04/15
Francesco Verderami
Più della legge elettorale lo
preoccupano gli sbarchi, più dell’opposizione parlamentare teme l’opposizione dei partner
internazionali sulla crisi libica.
Governare logora, secondo
Renzi, ma non a Roma. Infatti è di ritorno da Bruxelles che ha
confessato di essere a corto di energie, siccome «il vertice è
stato assai stressante». In Italia non gli accade, perché dispone
di un vantaggio che nessun suo predecessore ha mai avuto: ha
ereditato un sistema debolissimo che dopo un anno era già figlio di
un’altra epoca politica, e ora può usare la sua forza con tutta la
spregiudicatezza di cui è capace, dato che in fondo è — per tutti
i parlamentari — l’assicurazione sulla loro vita, l’unico che
può garantire l’arrivo alla terra promessa, cioè alla fine
naturale della legislatura.
Perciò li lusinga e al contempo li
minaccia. L’ha fatto anche ieri avvertendo che se cadesse
l’Italicum cadrebbe anche il governo, evocando — ma senza dirlo
per rispetto a Mattarella — le elezioni anticipate. Ma è un non
problema, piuttosto è un esercizio di retorica, un modo per
enfatizzare la questione prima di risolverla con una girandola di
voti di fiducia. Il resto è tattica parlamentare: Renzi deve solo
decidere se dar seguito al timing predisposto alla Camera — dov’è
previsto già per la prossima settimana il primo voto a scrutinio
segreto sulle pregiudiziali di costituzionalità della legge —
oppure far concentrare tutto l’esame del provvedimento nei primi
giorni di maggio, così da evitare che il soufflè delle polemiche
monti eccessivamente.
Rischi che la legge elettorale venga
affondata non ce ne sono, non a caso il premier è pronto alla
scommessa, che si trasforma in sfida verso gli avversari nel Partito
democratico. Il modo in cui ieri ha risposto a Letta e soprattutto a
Prodi — rivelando che è stato l’Onu a non volere il Professore
come mediatore in Libia «per via dei trascorsi legami con Gheddafi»
— fa capire che Renzi non intende farsi chiudere
nell’accerchiamento dei «rottamati», gli stessi che un tempo non
smettevano di litigare e che ora — a suo parere — hanno preso a
sentirsi per far contro di lui fronte comune.
Li sfiderà in
Aula, dove forse sul voto a scrutinio segreto per le pregiudiziali di
costituzionalità si affiderà a una prova muscolare: niente fiducia
in quel caso, perché Renzi deve dare almeno una dimostrazione di
forza. Poi chiuderà i conti anche con Berlusconi, a cui deve andar
bene il «colpo di Stato» che il capo del Pd sta per attuare. Lo ha
capito il capogruppo di Ncd, Lupi, quando al collega forzista
Brunetta ha consigliato di non chiedere voti segreti sul’Italicum:
«Meglio il voto palese, Renato, dammi retta. Così Renzi non potrà
mettere la fiducia, che fa gioco a lui e alla minoranza del Pd
divisa». Niente da fare, segno che anche Forza Italia non vuole
mostrare le proprie crepe.
Insomma non è per quanto accade a
Roma che al premier sono venuti «i capelli bianchi». È nel
Mediterraneo che la sua leadership rischia di imbarcare acqua. C’è
un motivo se per un anno si è tenuto distante dal dossier che ora è
costretto a gestire. Lo spiegò ad Alfano, mesi fa, durante un
vertice ristretto di governo, quando il titolare del Viminale —
lasciato ad occuparsi della faccenda — chiedeva al premier un
intervento: «Angelino, sull’immigrazione devi capire che in
qualunque modo se ne parli, si beve», cioè si va in difficoltà,
perché «non saremo mai talmente spietati da far concorrenza a
Salvini nè mai talmente accondiscendenti da far concorrenza alla
Boldrini».
Aveva ragione, se non fosse che l’emergenza lo ha
spinto in mare aperto. Il vertice a Bruxelles sarà pur stato
«positivo», ma il potenziamento della missione Triton nel
Mediterraneo non risolve, anzi rischia di far aumentare il fenomeno
migratorio, il cui peso — senza la solidarietà europea —
ricadrebbe (quasi) per intero sulle spalle dell’Italia. Ecco lo
«stress» di cui Renzi si lamenta: non sarà facile infatti ottenere
un ombrello diplomatico per affondare quei barconi, con Putin che si
mette di traverso all’Onu, il Vaticano che anzitempo condanna
l’operazione, i rischi che comporterebbe un «fai da te» sulle
coste libiche della Marina italiana. Giocare all’uno contro tutti a
Roma è facile per Renzi. Altra cosa è farlo fuori dai confini
nazionali.
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