Corriere della Sera 09/04/15
Lorenzo Salvia
Un euro ogni tre. Non deve essere
semplice far quadrare i conti se i tagli si portano via il 30% del
bilancio. Ma è questo il guaio che devono affrontare dieci città, a
partire da Firenze e passando per Monza, Verona, Padova, Rimini e poi
giù fino a Taranto, in un grande giro d’Italia della spending
review . A tutto c’è una spiegazione, però. Anche stavolta.
La
legge di Stabilità 2015 dice che le province quest’anno devono
risparmiare 900 milioni di euro, senza considerare le Regioni a
statuto speciale. La novità sta nel come dividere la torta, nella
strada seguita per decidere che, in termini assoluti, la fetta più
grande spetta a Roma con 87 milioni (25%) di euro mentre Milano si
ferma a 17 milioni (6,6%) e Bologna a 5 milioni (6,6%). Il metodo è
stato già deciso ma fa ancora discutere i sindaci. Come quello di
Bologna, Virginio Merola, che ieri ha accusato il suo collega di
Firenze, Dario Nardella, vicepresidente dell’Anci, preoccupato dei
tagli nella propria città, di non rappresentare tutti i sindaci, ma
di difendere solo la propria posizione. I «numeri sono numeri» ha
replicato Nardella.
Ma qual è stata la procedura utilizzata?
Niente tagli lineari, cioè la sforbiciata uguale per tutti. Ma il
metodo dei costi standard, cioè il calcolo di quanto dovrebbe
costare davvero un servizio se tutto funzionasse a dovere. Per ogni
provincia è stata presa la media della spesa nel periodo 2010-2012.
Poi ci si è concentrati sui soldi usati per quelle funzioni che
ancora adesso spettano alle province, come le scuole e le strade. E
infine si è cercato di rendere «efficiente» quella voce. Come? Un
esempio per capire. Sulla spesa per le scuole si è tenuto conto di
due parametri: il numero degli edifici e la relativa fascia
climatica, perché per le province, scuola vuol dire essenzialmente
bolletta del riscaldamento. Per le strade invece si è fatta una
valutazione sulla superficie e sulla presenza di tratti di montagna,
più costosi per la manutenzione.
Poi si è passati al capitolo
«entrate». Anche qui un esempio. Le province hanno tre tasse a
disposizione ma la più importante è la Rc auto, quella sulla
responsabilità civile di chi guida. Ovunque si applica l’aliquota
massima: il 16%. Solo quattro province avevano fissato una soglia
inferiore: Firenze, Sondrio, Vicenza e Avellino. Avere una tassa più
bassa ha attirato in zona diverse aziende di autonoleggio. Ma quelle
città non hanno in questo modo utilizzato per intero la loro
«capacità fiscale». Così ora, in base al metodo usato dal
governo, i loro tagli dovranno arrivare al massimo, cioè al
30%.
Non è un paradosso bastonare di più chi tassa meno i
propri cittadini? «No — risponde il sottosegretario agli Affari
regionali Gianclaudio Bressa — perché la percentuale dei tagli non
è stata decisa in base alla virtuosità delle singole
amministrazioni. Ma per garantire equità fra le diverse aree del
Paese. Quindi, va bene se Firenze decide di far pagare meno la Rc
auto. Ma non è che per questo posso tagliare di più a chi vive a
Brindisi».
Non è l’unica critica al metodo, però. Sul
versante dei costi, l’Unione delle province dice, ad esempio, che,
per calcolare quelli dell’ambiente, si considerano popolazione e
rischio frane. Mentre un «dato più significativo sarebbe il numero
delle aree protette, delle industrie, il livello di inquinamento».
Non era possibile un calcolo più dettagliato? «Naturalmente —
dice il sottosegretario Bressa — tutto è perfettibile. Ma prima
non andavano bene i tagli lineari, adesso non va bene adeguare gli
interventi alle diverse realtà. Vorrà dire che la prossima volta
useremo il sorteggio. Come in Champions League».
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