Corriere della Sera 27/04/15
Alessandro Trocino
«Il punto è politico: qui rischia di
venire meno un pezzo di Pd». Danilo Leva, bersaniano, non nasconde i
timori per quello che accadrà quando si andrà al voto
sull’Italicum, se venissero poste le questioni di fiducia. E il Pd
rischia di arrivarci spaccato in tre tronconi: un corpaccione di
renziani e lealisti che dirà di sì alle fiducie e nel voto finale;
un gruppo consistente di bersaniani e cuperliani che non negherà il
proprio via libera ma non nasconderà l’irritazione e la rabbia; e
una minoranza di irriducibili, che consumerà uno strappo con la
maggioranza del partito, dicendo di no alle fiducie e all’Italicum.
Tra questi, ci sarà anche chi differenzierà il voto, dando la
fiducia al governo, ma respingendo il provvedimento nel voto finale
segreto.
I capofila della protesta sono noti. I no più secchi
sono di Stefano Fassina e Alfredo D’Attorre. Che ancora ieri
ribadiva: «Questa legge elettorale è un pasticcio, un errore. Io
non la voterò, senza modifiche. Nella sciagurata ipotesi, io non
parteciperò al voto di fiducia e poi voterò contro».
Con loro
c’è anche Pippo Civati. E anche Rosy Bindi sembra pronta alla
battaglia: «Se si metterà, io non negherò la fiducia al governo,
negherò la fiducia ad un atto improprio del governo». Enrico Letta,
dopo le punture dei giorni scorsi, non si sbilancia: «Vediamo cosa
succede, è ancora tutto da decidersi».
La pattuglia degli
irriducibili per ora non sembra andare molto al di là delle dieci
unità. Ma c’è un enorme punto interrogativo, che riguarda in
parte Area riformista, la corrente guidata da Roberto Speranza e che
è spaccata a metà, e soprattutto i cuperliani e i bersaniani.
L’unica linea comune scelta finora è quella di non sbilanciarsi,
per non scoprire il fianco. È possibile che il grosso della
minoranza critica alla fine decida di non consumare la rottura, non
votando fiducie e provvedimento, ma dirlo ora darebbe un’arma in
più a Renzi.
Marco Meloni, lettiano, spiega: «Dobbiamo
insistere fino all’ultimo, respingendo la fiducia e ribadendo
l’assoluta gravità. Per ora si può dire solo questo, procedendo
passo dopo passo e cercando di evitare la fiducia». Ma se non si
riuscisse a evitare? Alla fine cederete? «Non do affatto per
scontata la fiducia da parte mia. Ma Renzi sbaglia se prova a
mercanteggiarla con la durata del governo o con i diritti civili. Le
norme elettorali non sono beni negoziabili». Posizione non dissimile
da quella di Leva: «Noi siamo leali verso il partito, ma Renzi sia
leale verso il Parlamento». Davide Zoggia è cauto: «Valuteremo
alla luce del clima che ci sarà e delle eventuali forzature.
Speranza ha ragione, ora tocca a Renzi riprendere il dialogo. Anche
perché non può risolvere a sportellate le cose: alla fine magari ci
riesci ma ti ritrovi con un problema grande come una casa». Enzo
Lattuca, vicino a Bersani, voterà disgiunto: «Potrei votare la
fiducia e dire no nel voto segreto. Perché sia chiaro che la mia
contrarietà è verso questa legge, non verso il governo».
I
renziani la vedono diversamente: «Se l’Italicum non passa —
spiega Angelo Rughetti — vuol dire che la minoranza vuole dettare
legge senza numeri». Emanuele Fiano ricorda che «la legge attuale è
stata bocciata dalla Consulta, cambiarla era un dovere». Per Ernesto
Carbone «fermarsi ora sarebbe irrispettoso verso tutto il
Pd».
Dario Ginefra spera ancora nel dialogo: «Molti di noi,
pur riconoscendosi nella minoranza, voteranno a favore della legge
elettorale, auspicando una sua modifica successiva». Potrebbe essere
il caso di Cesare Damiano: «La fiducia l’ho sempre votata, anche
al governo Monti. E dovremo sostenere anche quelle sulle
pregiudiziali di costituzionalità. Ma Renzi sappia che porre la
fiducia sarà un ulteriore strappo nel Pd».
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