Corriere della Sera 12/04/15
Marco Demarco
Nella destra un tempo affluente, che
seppe fare della Puglia un laboratorio politico; nella destra
dell’armonia postideologica e di Pinuccio Tatarella che ne fu il
fine tessitore, qualcosa si è irrimediabilmente rotto. Quella
destra, che mettendo insieme l’autonomismo di Bossi e il
nazionalismo di Fini, proprio con Tatarella, nel 1994 seppe tenere
insieme gli opposti e far vincere Berlusconi, ora non riesce più a
tenere insieme neanche se stessa. Litiga, si fa gli sgambetti, si
consuma in guerre intestine. E perde di vista l’avversario.
Alle
prossime regionali, salvo sorprese, la destra pugliese tornerà
dunque a dividersi, con somma gioia di una sinistra che invece si va
sempre più ricompattando intorno a Michele Emiliano. La destra
tornerà a dividersi come cinque anni fa, quando indebolito da un
primo giro al comando, Vendola riuscì a restare in sella perché sul
fronte opposto si presentarono, indeboliti l’uno dall’altra, sia
Rocco Palese, voluto da Fitto, di cui era stato il vice al tempo del
suo governatorato; sia Adriana Poli Bortone, sostenuta invece da
Casini. Berlusconi si infuriò. Non potremmo puntare su di lei e
portarci a casa la vittoria? Lo chiese a Fitto. Quasi lo implorò. Ma
Fitto non volle saperne: o Palese o Palese. Aveva fatto male i conti.
Già si scontravano due idee di partito: quello di opinione, in buona
parte fondato sull’estetica della comunicazione; e quello
notabiliare, che i voti li conta invece uno alla volta, e che Fitto
già allora ben rappresentava. Berlusconi uscì stremato dal duello e
cedette. Non prima però di strapazzare il sarto e il barbiere del
candidato fittiano.
E ora? Talvolta la Storia si diverte. Ecco
dunque che Berlusconi torna a puntare su Adriana Poli Bortone, una
delle figure più amate dalla destra pugliese. Latinista, docente
all’università di Lecce, ex consigliere comunale missina,
tatarelliana per stile e convinzione, poi ministro ed
europarlamentare: chi meglio di lei potrebbe lavorare per il riscatto
del centrodestra? Eppure, per come si sono messe le cose, quello di
Berlusconi sembra essere più un colpo di teatro, l’ennesimo in
questa vicenda pugliese, che altro. Più una rivincita tardiva nei
confronti di Fitto che una ipotesi davvero praticabile. Il perché lo
spiega la cronaca di questi giorni. Per far fuori i fittiani dalle
liste elettorali, Berlusconi ha puntato su Luigi Vitali, nominato
commissario, che a sua volta ha puntato sulla candidatura
dell’oncologo Francesco Schittulli. In tutta risposta, Fitto gli ha
lasciato il primo e si è preso preso il secondo. E a Schittulli ha
fatto grossomodo questo ragionamento: se resti con Berlusconi, gli
avrebbe detto, io mi candido contro di te e tu non entri neanche in
consiglio regionale; viceversa, se passi con me, anche in caso di
sconfitta elettorale riesci comunque a entrare in Consiglio e da qui
diritto diritto al Senato «renziano», quello di nomina
regionale.
Vero o falso che sia questo retroscena, sta di fatto
che Schittulli ha davvero dato l’addio a FI. È a questo punto, e
solo a questo punto, che è venuta fuori Poli Bortone. «Ma così non
è serio», dicono dal suo partito, Fratelli d’Italia. «Se non
serve a riunire tutto il centrodestra, inutile parlarne», avverte
Giorgia Meloni.
Dalla Puglia creativa a quella vendicativa.
Perché il centrodestra è arrivato a tanto? Forse, dopo dieci anni
di vendolismo, di noglobalismo, di festival della Tarantola, di
opposizione ai gasdotti e di localismo anticapitalistico, la destra
avrebbe dovuto mettere in campo più idee alternative e meno
tatticismi. E invece è successo che a rivalutare la globalizzazione,
a dire che «non è solo espropriazione e sradicamento», ma «gioco
largo e imprevedibile a cui non ci si può sottrarre», sia stato il
più ascoltato intellettuale della sinistra pugliese, quel Franco
Cassano noto per aver anni fa esaltato la lentezza e il pensiero
meridiano. Ora inascoltato anche da Emiliano.
Nel suo ultimo
pamphlet, Cassano dice che la sinistra dovrebbe smetterla «di
sentirsi ospite innocente in un universo cattivo». E di conseguenza
dovrebbe smetterla anche «di abbandonarsi alla nostalgia». E la
destra? Intanto litiga.
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