Corriere della Sera 04/04/15
Andrea Riccardi
Questa è una Settimana Santa di
passione per i cristiani. Gli studenti kenioti, uccisi perché
cristiani, si affiancano ai fedeli pachistani assassinati in chiesa
due settimane fa, mentre pregavano di domenica. A migliaia di
chilometri, si rivela un’impressionante continuità nell’odio di
chi ha l’unica colpa di portare il «nome cristiano». Sono
cittadini di Paesi differenti, hanno storie diverse o partecipano a
varie confessioni (cattolici, ortodossi, protestanti e
neoprotestanti). Ma tutti uccisi, solo perché cristiani, da una
violenza vigliacca contro gente disarmata.
Cristiani spesso
uccisi barbaramente per manifestare il proprio terrificante potere,
come i copti decapitati sulle rive del Mare Mediterraneo. Uccisi o
rapiti, come in Nigeria da Boko Haram. È una Via Crucis
impressionante di un intero popolo di donne, bambini, uomini, giovani
e anziani. Richiama quella del Venerdì Santo nelle chiese
cattoliche. Papa Francesco l’ha guidata ieri al Colosseo, luogo
degli antichi martiri, ed ha ricordato il martirio dei cristiani di
oggi. Il martirio non è archeologia, ma attualità. La Via Crucis
dei martiri ha una statio drammatica in Medio Oriente. Qui fu la
culla del cristianesimo nascente. Restano antiche chiese, come a
Malula in Siria (dove si parla ancora aramaico, la lingua di Gesù);
si prega con millenarie liturgie cantate per secoli; ma soprattutto
ci sono comunità pazienti e forti durante secoli di persecuzioni e
umiliazioni. Sono comunità che oggi stanno scomparendo, esiliate e
colpite. Almeno in Siria e in Iraq. Questa violenza crudele e senza
senso interroga i cristiani in questa Pasqua 2015, in cui risalta la
somiglianza tra l’ingiusta condanna a morte del Maestro e la
persecuzione dei suoi discepoli di oggi: tra il crocifisso e
un’umanità crocifissa. Cominciò a notarlo Giovanni Paolo II,
generando stupore nel mondo occidentale che pensava il cristianesimo
in modo trionfante. C’è stato, specie dopo l’11 settembre 2001,
il tentativo di recuperare i martiri cristiani come bandiera contro
l’islam, per ridare identità a una civiltà che, per esistere, ha
bisogno di identificare i nemici. I martiri cristiani non possono
essere utilizzati per fondare battaglie o magari il nostro
vittimismo. Non sono una bandiera di civiltà. Sono radicalmente
diversi da quelli islamici: non si tolgono la vita per uccidere
altri, soprattutto non odiano. La loro morte, per questo, pone
domande forti: non solo a chi appartiene alla Chiesa, ma agli europei
familiari con il cristianesimo, a chi è cristiano a modo proprio, e
un po’ a tutti. Qual è la fede di questa gente che muore per
continuare a essere credente? E poi che fare per loro? Quest’ultima
è una questione da non eludere in tutte le sedi internazionali.
Recentemente ne ha discusso per la prima volta il consiglio di
sicurezza dell’Onu. Ma come intervenire nella complessa situazione
della Nigeria o del Kenya, se non chiedendo ai governi di garantire
la sicurezza a tutti i cittadini? Questa Pasqua di persecuzione non
lascia indifferenti tanti europei, nonostante la distrazione del
mondo del benessere. C’è qualcosa che colpisce in profondità,
facendo riscoprire un volto diverso del cristianesimo e dei cristiani
rispetto a come li si raffigurava. Non è solo la reazione, per cui,
quando i cristiani sono perseguitati, ci sentiamo un po’ tutti
«cristiani»: un’identificazione profonda verso chi subisce una
grave ingiustizia. C’è soprattutto una riscoperta del volto umile
del cristianesimo in questi perseguitati, che abitano paesi del Sud
del mondo. Colpisce la loro forza spirituale, espressa nella
perseveranza nel frequentare di Domenica le chiese, nonostante le
minacce, come avviene in Nigeria o in Pakistan. Forse le immagini dei
perseguitati, nel nostro orizzonte, si accompagnano anche alle parole
di papa Francesco, che mostra un cristianesimo spoglio e attraente,
senza mettere in prima linea divieti e contrapposizioni. Così, più
che attraverso espressioni altisonanti, si sta determinando — è
una mia impressione — una rinnovata considerazione, con più
attenzione e rispetto, della realtà del cristianesimo. Insomma
un’altra immagine della realtà cristiana che oggi parla una lingua
antica e rinnovata .
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