Corriere della Sera 09/04/15
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Una mappa del potere nell’Italia di
Matteo Renzi. Paolo Madron e Luigi Bisignani (il primo fa le domande
e il secondo risponde) aggiornano il quadro rispetto al libro
precedente, «L’uomo che sussurra ai potenti», che si fermava al
2013. Nel nuovo volume, «I potenti al tempo di Renzi», di cui
pubblichiamo un estratto, la parte del leone la fa il presidente del
Consiglio: dal patto del Nazareno ai retroscena dell’elezione di
Sergio Mattarella, dalla rottura con Silvio Berlusconi alla presa del
potere del «Giglio magico», i fedelissimi del premier. Spazio anche
al rivale più accreditato, l’altro Matteo, il leader della Lega
Salvini, con le indiscrezioni sulla sua ascesa.
Il patto del
Nazareno, pur tra alti e bassi, ha resistito più di un anno. Poi è
diventato carta straccia.
Ma Renzi non ha stracciato nulla. Ti
potrei dire anche il giorno e l’ora in cui, anzi, è successo
esattamente il contrario. Mancavano dieci giorni alla battaglia per
il Quirinale. Erano le 20.20 del 19 gennaio 2015 quando Renzi apprese
la notizia di un vertice che poche ore prima si era svolto a sorpresa
in una saletta riservata della Prefettura di Milano. E si sentì
tradito.
Lasciami indovinare: quello tra Alfano e
Berlusconi.
Sì. Presenti anche Maurizio Lupi e Gaetano
Quagliariello. E soprattutto Lorenzo Cesa, segretario dell’Udc.
Berlusconi era accompagnato da Giovanni Toti e Niccolò Ghedini, che
l’avevano segretamente organizzato.
Fu allora che il premier
capì che per lui, in calo nei sondaggi, con il governo in difficoltà
sull’azione complessiva e sulle riforme istituzionali, c’era il
rischio di finire in una trappola.
Il pericolo da scongiurare era
che si ricompattasse il centrodestra. Come se non bastasse, in Forza
Italia iniziava a far breccia la linea anti Nazareno portata avanti
dal cerchio magico di Berlusconi.
Renzi considerava il
riavvicinamento con Alfano, e gli abboccamenti tra Berlusconi e
Salvini, una vera mina per la sua leadership e per il suo governo. Ma
come andò l’incontro in prefettura?
Berlusconi, dopo tutto
quello che aveva ingoiato dal suo ex delfino, fece davvero finta di
nulla, come nel suo stile. Con Alfano sembrava che si fossero
lasciati solo da poche ore. Mise subito a suo agio un Angelino molto
imbarazzato, che non vedeva da più di un anno dopo il famoso
tradimento (...).
Renzi quindi aveva ragione a
preoccuparsi.
Altroché. E come se quella riunione l’avesse
ascoltata, battuta per battuta. Capì subito che si stava creando un
asse forte tra i ritrovati amici, o fintamente tali, per portare Pier
Ferdinando Casini al Quirinale (...).
Con Renzi che gli indicava
Mattarella, Berlusconi che fece?
Era titubante se votarlo o meno.
Ma Giovanni Toti, in contatto con Alfano, di cui è amico personale,
gli prospettò che, facendo fronte comune con il Nuovo centrodestra,
Mattarella non sarebbe mai passato, perché la minoranza dem, secondo
informazioni che aveva avuto Casini, si sarebbe spaccata, così come
era avvenuto due anni prima con i 101 franchi tiratori che
impallinarono Prodi.
Immagino che Berlusconi fosse molto
indeciso.
Come spesso gli capita in occasioni simili. Seguendo il
suo istinto avrebbe votato Mattarella, ma poi si fece dissuadere
(...).
Nella notte dei lunghi coltelli, quella del 27 gennaio
2015, che cosa successe?
Fu una notte infernale. Silvio era andato
a dormire con l’incubo di Lorenzo Guerini che annunciava: «Si
parte con Mattarella e si arriva a Mattarella» (...).
Come si è
svegliato?
Frastornato e mortificato perché, nelle ore decisive
della
battaglia, lui doveva rientrare a Milano, secondo quanto gli
imponevano le disposizioni della magistratura.
E con Renzi
nessun contatto?
Certamente. Prima di mezzogiorno di quel giovedì
29 gennaio il premier richiamò al telefono Berlusconi e gli chiese,
senza giri di parole, di convergere su Mattarella, perché così si
sarebbe salvato il patto del Nazareno. E comunque, quello era il nome
che di lì a poco avrebbe comunicato all’assemblea dei grandi
elettori del Pd, che avrebbe approvato all’unanimità.
E
Berlusconi cosa gli rispose?
«Dammi ancora due ore e ti
dico.»
Una risposta molto possibilista.
Assolutamente.
Successe però un episodio comico che spiega bene l’autogol di
Berlusconi.
E cioè?
Per non farsi scoprire dai giornalisti
che assediavano Palazzo Grazioli, si nascose nel furgoncino nero che
di solito fa da scorta alla sua Audi corazzata.
Questa è da
agente 007, che tra l’altro in quelle ore stava girando proprio a
Roma, sul Lungotevere, il nuovo film. Ma per andare dove, a
incontrare la Spectre?
Più che la Spectre, uno spectrino, ovvero
Alfano che lo aspettava con Casini, Lorenzo Cesa, Gaetano
Quagliariello, Maurizio Lupi e Fabrizio Cicchitto (...).
E
mentre loro discutevano, Berlusconi se ne stava accucciato nel
furgone.
Con i suoi dubbi Silvio arrivava al Viminale mentre Sky
Tg24 , che seguiva l’Audi vuota, dava notizia che si stava recando
all’ultimo faccia a faccia con Renzi, in seguito al quale forse
avrebbe dato il via libera a Mattarella.
E invece stava da
tutt’altra parte.
Mentre Renzi faceva il suo ingresso nella sede
del Pd per annunciare al mondo il nome di Mattarella, Berlusconi si
accomodava nell’ufficio del Viminale assieme a Verdini, Letta e
Ghedini.
E come lo accolsero?
Dopo veloci ma calorosi
convenevoli venne travolto, soprattutto da Casini che, speranzoso di
poter essere il candidato, si alzò dalla sedia a dissertare
teatralmente, il dito indice sollevato: «Amici miei, e non parlo per
il mio interesse ma per voi. Tu Silvio, e noi tutti, Mattarella non
lo possiamo proprio votare». Alfano, più persuaso che convinto, gli
andò appresso e Berlusconi cedette e diede il via libera alla
famigerata decisione delle schede bianche (...).
Casini e Alfano
lo avevano stregato.
Sì, lui, che era entrato così titubante,
uscì convinto di poter
far fuori Mattarella assieme alla minoranza
del Pd, come era avvenuto due anni prima per Prodi. Verdini, che era
stato appositamente invitato alla riunione perché avallasse assieme
a Gianni Letta la linea, mentre uscivano disse con la sua consueta
crudezza: «Questi fra tre ore si rimangiano tutto».
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