ILPUNTO DI STEFANO FOLLI
La Repubblica 7 aprile 2015
Qualcosa sta cambiando nella vita del
governo e il renzismo rischia un appannamento.
Passata la Pasqua, non è solo il Def
il problema di Matteo Renzi. In un certo senso è come se fosse
cominciata una nuova fase nella vita del governo. La nomina di Delrio
al posto del centrista Lupi alle Infrastrutture ha segnato un piccolo
strappo dentro la maggioranza; ora dalla scelta del nuovo
sottosegretario alla presidenza del Consiglio verrà, con ogni
probabilità, un altro indizio che qualcosa sta cambiando. La
questione è quella che indica oggi Ilvo Diamanti: la solitudine del
premier, una solitudine che va di pari passo con il rafforzamento del
suo potere. Renzi sa come mettere in difficoltà amici e avversari,
alleati e oppositori, ma forse è giunto il momento di guardare oltre
la tattica e la propaganda. I provvedimenti del governo hanno avuto
un impatto psicologico nell’opinione pubblica, ma le cifre
dell’economia restano incerte (vedi i dati Istat) e quindi il
consenso al premier sembra incontrare le prime difficoltà. Così
almeno indicano alcuni sondaggi dai quali si deduce che la
percentuale del Pd si è arrestata intorno al 37-38 per cento e,
anzi, ha fatto qualche passo indietro rispetto ai mesi precedenti.
Niente di realmente strano, se non
fosse che questa nuova fase potrebbe essere meno favorevole a Renzi
della prima, coincidente con lo slancio dei dodici mesi iniziali
della sua leadership. Le inchieste sulle cooperative e sulle
amministrazioni di sinistra stanno senza dubbio frenando i consensi
al Pd. Sappiamo che il premier tende a riversare la responsabilità
di certi rapporti opachi sulle precedenti gestioni del partito, ossia
su una storia che affonda le radici nel vecchio Pci. Ma non è detto
che lo sforzo di separare il passato dal presente, cioè la parabola
del Pci-Pds-Ds-Pd dall’attuale «partito di Renzi», riesca a colpo
sicuro. Il sentiero potrebbe farsi tortuoso.
In primo luogo ci sono i dati
dell’economia, che devono ancora consolidarsi in meglio prima di
dare alle persone, cioè agli elettori, la sensazione che la vita di
ognuno sta mutando. Poi si affacciano le scadenze delle regionali,
terreno sulla carta favorevole al premier e al suo partito, ma pur
sempre un’incognita per quanto riguarda le percentuali. Infine c’è
una questione di fondo che i sondaggi lasciano solo intravedere e che
non va drammatizzata. Ma che non può essere ignorata nel momento in
cui ci si appresta a votare la riforma elettorale, l’Italicum.
È il dato che riguarda la ripresa in
atto del Movimento 5Stelle. Si parla di un 19-20 per cento
all’incirca, che non è certo poco per una sigla considerata in
crisi verticale. Anche questo è il segno che il «renzismo» vive un
momento di appannamento. Come se il premier avesse allentato per un
attimo la presa mediatica sui suoi elettori, a tutto vantaggio delle
forze anti-sistema. E infatti al buon dato di Beppe Grillo fa
riscontro — sempre nei sondaggi — l’ottimo risultato di
Salvini: il 13-14 per cento. Tendenzialmente superiore alla
percentuale di Forza Italia.
Se si guarda al ballottaggio previsto
dall’Italicum e si sommano le cifre dei 5Stelle, della Lega, di un
segmento almeno del partito berlusconiano allo sbando e dei Fratelli
d’Italia, si ottiene un dato che non è così lontano da quello
raccolto dal partito renziano più le liste minori di centrosinistra.
Il che significa che un indebolimento, anche relativo, del Pd
determina un rischio: al secondo turno l’opinione pubblica
anti-sistema potrebbe riversare i suoi voti sulla lista che
contenderà a Renzi la vittoria finale.
Non è una supposizione lontana dalla
realtà, se si pensa che oggi i sondaggi danno Grillo al secondo
posto. Movimento 5Stelle e Lega, da soli, raccolgono sul piano
virtuale circa il 34 per cento. È una base di partenza
ragguardevole, tale da rendere il secondo turno una partita aperta
fra le due liste maggiori. Questo offre argomenti a quanti, dentro il
Pd e fuori, vedono con scetticismo il meccanismo dell’Italicum. Che
per funzionare ha bisogno di un Pd smagliante, capace di rintuzzare
il fronte delle opposizioni. Non è detto che accada.
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