Mino Fuccillo
Finte, posticce e grottesche, come
improvvisate e pur ripetitive maschere di domestico carnevale, sono
le grida di “fascismo” che si levano da ogni dove nell’Aula di
Montecitorio all’indirizzo della legge elettorale chiamata
Italicum. E’ teatro, anzi avanspettacolo (per chi si ricorda cosa
era) della politica. A mettere in fila e a prendere sul serio le
accuse e le denuncia di dittatura e fascismo dal 1945 in poi
risulterebbe che democrazia c’è stata in Italia, forse e appena un
po’, dal 25 aprile 1945 al 18 aprile 1948.
Poi, sommando e prendendo per buone le
incrociate e rispettive e ripetitive sceneggiate, il “regime”
democristiano, insomma una dittatura dolce. Quindi il dittatore
manifesto Bettino Craxi alla guida dei governi. Poi la
dittatura/regime di Berlusconi, quindi la non democrazia del governo
Monti e di tutti i governi tecnici prima di lui. Passando per i non
democratici governi Prodi (ricordate, secondo Berlusconi erano frutto
di frode elettorale). Planando sul governo Letta (non eletto da
nessuno) e quindi approdando alla “democratura” del governo Renzi
ora sbarcato finalmente sulla riva del conclamato “fascismo”.
Ci piace così, siamo fatti così,
siamo abituati così: l’avversario politico non basta sia uno che
sbaglia o non fa bene, deve essere un nemico del popolo, una sciagura
nazionale, un agente del nemico, un dittatore. Quindi
meravigliosamente e a nostra sostanziale insaputa viviamo da circa 67
anni in un regime politico di dittatura mascherata ma neanche tanto.
Questo raccontano, se sommate, le propagande di quelli che furono il
Msi e il Pci e poi la propaganda di Berlusconi e poi quella di Grillo
e oggi anche quella di Bersani.
Ma se posticcio e grottesco è il
racconto del fascismo sempre immanente in ogni governo e oggi
manifesto e conclamato niente meno che in una legge elettorale e
nella volontà di farla approvare dopo anni di immobilità e anni di
dibattito parlamentare, genuino è lo sgomento, genuina è la
“tristezza”, genuino è lo sbandamento perfino emotivo dei
maggiori oppositori di Renzi: una gran parte dei suoi compagni di
partito.
Bersani, Bindi, D’Alema, e poi
Fassina, D’Attorre, Cuperlo, Civati (e qui passando dagli uni agli
altri già si mischia la lana con la seta ma tant’è) sono
genuinamente partecipi di una cultura, politica e anche etica, nella
quale democrazia coincide, anzi è: nessuno decida, nessuno faccia
nulla se tutti gli altri non sono d’accordo o almeno non abbiano
ottenuto qualcosa in cambio del loro assenso alla decisione e/o
all’azione.
Questa cultura prevede, contempla,
postula il “tavolo di concertazione”, “l’assenso delle parti
sociali” o più in generale delle parti in causa. Omaggia, anzi
santifica la mediazione. Ha orrore del principio di maggioranza se
non mitigato e in fondo contraddetto dalla irriducibilità
“costituzionale” della minoranza a essere…minoranza. Secondo
questa cultura la minoranza non si conta, si pesa. Cioè la
minoranza, se è tale, ha diritto non a diventare domani
eventualmente maggioranza ma ad avere qui e oggi quota parte della
decisione.
E’ una cultura non solo di ceto
politico ma anche di massa. E’ una cultura che ha la sua storia, le
sue ragioni e i suoi valori. Spesso ai giorni nostri degenera e
dirazza da partecipazione in spartizione, da mediazione a
lottizzazione, da rappresentanza a clientela. Spesso diventa
l’incubatrice e il moltiplicatore delle lobby, lobby suffragate dal
diritto all’incompetenza. Una fra tutte: l’idea che a decidere su
una materia debbano essere in primo luogo e soprattutto quelli che in
quella “materia” lavorano e operano.
Nulla di più diffuso e nulla di più
gravido di pessime conseguenze: se sui trasporti pubblici decidono
solo e prima di tutti gli autisti è ovvio e naturale che gli autisti
penseranno agli autisti e non ai passeggeri (ogni riferimento al
prossimo sciopero dei docenti nella scuola è voluto e calzante, lo
sciopero è sacrosanto e comprensibile se si assume che la scuola è
prima di tutto e soprattutto di e per chi ci lavora, se ci si
riferisce a percorso formativo, cultura, competenze, studenti, allora
lo sciopero…di questo non si occupa, non sono affari suoi).
Questa cultura nei suo fasti e nefasti,
questa cultura in cui la democrazia è che ciascuno abbia
l’inalienabile diritto a trattare con chiunque una parte almeno
della decisione e/o dell’azione o altrimenti a bloccarla che se no
è…dittatura è quella dei Bersani, delle Bindi e di tanti altri
che hanno cognomi meno noti. E’ stata per anni e decenni non la
cultura dominante ma quasi l’unica cultura della sinistra post
comunista, quella democratica appunto.
I Bersani, uno per i tantissimi come
lui, pensavano, hanno sempre pensato che Matteo Renzi in fondo fosse
uno che giocava, uno spregiudicato giocatore sì, ma un giocatore,
uno che gioca. Ma che alla fine sta alle regole della cultura. E
quindi hanno pensato: lo inchiodiamo cambiandogliela sempre la legge
elettorale. Prima chiediamo la soglia bassa al 3 per cento. Lui ce la
da e noi diciamo che è troppo bassa, così lui capisce che deve dare
altro.
Arriva la parità di genere nelle
liste, bene. Arriva la soglia per il premio alzata al 40 per cento,
bene. Ma noi chiediamo ancora e ancora e ancora. Così Renzi si
ammolla e si ammoscia e molla sull’Italicum e tante altre cose. Non
oserà mai mettere la fiducia su una legge elettorale, rischiare di
andare sotto, rischiare la crisi di governo e il governo e in fondo
tutta la sua carriera politica. Non lo farà perché…non si fa.
Nella nostra democrazia dello scambio e della trattativa perenni non
si fa. Così hanno pensato i Bersani e per questo oggi sono
genuinamente sgomenti.
Invece Renzi non gioca, non è uno
spregiudicato giocatore. Invece è uno che fa maledettamente sul
serio. Ha deciso, a torto o a ragione, e lo ha chiaramente detto in
ogni luogo e in ogni modo che questa cultura della democrazia
identificata nella trattativa e scambio perenni non è solo un
problema delle istituzioni ma è autentico handicap per l’economia,
per la società. Per, guarda un po’, la democrazia. Che secondo
Renzi è proprio decidere, scegliere, fare in modi e tempi
relativamente certi.
Nessuna delle due culture ha
l’esclusiva della democrazia che di suo peraltro non è una tavola
fissa delle legge e delle leggi ma è materia viva che evolve e muta.
Di certo le due culture non possono convivere in uno stesso partito,
non è serio. Ancor più certo anche se meno raccontato è che non è
l’Italicum la materia vera del contendere.
Racconta e documenta oggi su La Stampa
Marcello Sorgi quanti e quali siano i “voltagabbana”
dell’Italicum. Da Forza Italia che dichiarava la legge un progresso
storico qualche mese fa e oggi ci vede dentro “il bivacco dei
manipoli”. Ad Enrico Letta e Bersani che tennero a battesimo il
Comitato dei saggi nel 2013, Comitato che sfornò uno schema di legge
elettorale, allora applaudito da Letta e Bersani che era il fratello
se non il sosia dell’Italicum. A Brunetta, Cuperlo, Bindi che nel
2009 erano per il premio alla lista e non alla coalizione, quello che
oggi bollano come fascismo elettorale.
“L’assalto dei voltagabbana”
titola Sorgi, ma anche questo solo in parte è teatro. In parte è
dramma: c’è un ceto politico che recita e ce n’è un altro che
davvero pensa la democrazia sia soprattutto se non soltanto il nessun
faccia se non ha dato qualcosa a tutti. E pensa che Renzi sia un
pericolo mortale per questa democrazia così intesa. E che quindi per
fermare Renzi che non si ferma ogni mezzo sia lecito, anzi nobile,
nobilitato dalla causa. Anche la menzogna.
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