domenica 12 ottobre 2014

Tra rabbia, slogan e militanti critici 
Ma lo Tsunami del 2013 è lontano.


Corriere della Sera del 12/10/14
corriere.it
Grillo, dove va?

«Come dove vado? Vado su!».
 
Sale sulla gru?

«Certo! Salgo lassù e...».

No, scusi: ma che senso ha?

«Che senso ha? Mi chiedete che senso ha voi che non siete più giornalisti, ma larve, cadaveri che camminano...»
Grillo...
«Siete dei morti viventi! Ecco cosa siete!».
 
Sghignazzando divertito, compiaciuto di essere sempre Grillo che fa Grillo, entra nel gabbiotto metallico e il braccio meccanico della gru, lentamente, tra lo stupore e l’eccitazione dei militanti, comincia a portarlo nel cielo del Circo Massimo al tramonto.
 Grida di evviva. Fischi di pura gioia. La gente brinda con bicchieroni di birra ghiacciata e dice che Beppe è forte, troppo forte.
 Piccolo colpo di teatro, comizio volante per movimentare il pomeriggio e far puntare le telecamere verso l’alto e non più verso la valle, tra il Palatino e l’Aventino, giù nell’accampamento: il colpo d’occhio di venerdì a quest’ora era mortificante e anche se adesso avanguardie grilline più numerose si muovono tra i 199 gazebo illuminati a festa, continua a non esserci evento, non c’è emozione, niente a che vedere con la bolgia umana di piazza San Giovanni (23 febbraio 2013), ultima tappa di quel formidabile Tsunami Tour che portò al trionfo elettorale del M5S.
 Altissima la gru. Grillo urla dagli altoparlanti pochi minuti. 
Chiude così: «E nonostante i titolini dei giornalini... Noi siamo sempre di più!». 
Titolini, giornalini.
 È come un segnale.
  I militanti in mucchio ondeggiano, l’aria festosa e a loro modo subito implacabile.
 Spingono con un gomito. Poi con un altro. Te li mettono nelle costole, i gomiti. Ti sposti, ti fanno cadere il blocchetto con gli appunti, ti stringono ancora, ti piantano un tacco sul piede. Piccola mischia che può diventare rissa.
Uscire subito.
 Un paio di spallate.
 Dai, ragazzi, fatevi un giro.
È stata già aggredita una troupe della Rai. Quando, al mattino, Grillo è comparso per la prima volta, altra zuffa con pugni e insulti: due fotografi a terra, sul brecciolino, e qualche militante che ha cercato di mollare calci. Cori minacciosi: «Servi! Servi!». Il collega Nino Luca, al microfono per Corriere.it , sbeffeggiato: «Tanto poi tagliate tutto!». Nino si volta: «Ma, scusi, tagliamo cosa? Non vede che siamo in diretta?». Poi è arrivato Gianroberto Casaleggio. Gli chiedono se il M5S attraversi un periodo delicato. E lui: «Levatevi dai cogl...».
La parole sono queste, il clima è anche questo. Non esattamente un festone per celebrarsi. I gazebo — disposti a forma di stivale, a rappresentare l’Italia, e ogni gazebo rappresenta una regione, un comune, una città — sono vuoti. Si riempie all’improvviso quello di Parma, perché è arrivato il sindaco Federico Pizzarotti, accolto da applausi e pacche sulle spalle. Non era molto previsto. Più entusiasmo per lui, il sindaco dissidente, che per il sindaco preferito da Grillo: quello di Livorno, Filippo Nogarin. I militanti non si fermano nei gazebo ma - dopo una sosta agli stand dove si vendono panini «sani, ecosostenibili e a chilometri zero» - filano diritti sotto il tendone dove è possibile rivolgere domande ai parlamentari.
In piedi, su una sedia, c’è il deputato Alessandro Di Battista.
 Faceva il catechista nella parrocchia di Santa Chiara, a Roma, in piazza dei Giuochi Delfici. Poi partì e andò a fare il cooperatore sulle Ande. Dove si arrabbiò molto con Eugenio Scalfari, colpevole di non aver voluto pubblicare su Repubblica un suo reportage sulle «violazioni dei diritti indigeni perpetrate da Enel in Guatemala». Il Foglio di Giuliano Ferrara, dedicandogli un ritratto, lo ha definito un «simpatico mitomane a 5 stelle». 
Poco fa, dopo aver confessato di aver confuso l’Isis con Hamas, ha giurato a un militante di non mirare a ruoli di primo piano nel Movimento. Non è seguita ovazione. Tutti conoscono la sua passione per le telecamere, molti sospettano che il suo sorriso un po’ piacione celi un’ambizione sfrenata. E poi comunque i militanti paiono scarsamente indulgenti, pongono anzi interrogativi incalzanti a chiunque («Perché avete votato così quella legge?», «Perché non si capisce bene ciò che fate?», «Perché date sempre l’impressione di litigare?») e quindi, a maggior ragione, a pochi sfugge che questi comizietti improvvisati di Di Battista altro non siano che tentativi di propaganda personale.
Luigi Di Maio, il vice-presidente della Camera, ha un altro stile. Non è un mistero che Grillo lo immagini come suo possibile successore: casomai, è un mistero come questo ventottenne di Pomigliano d’Arco (Napoli) riesca a dissimulare ogni emozione.
 Gli vanno vicino. «Dimà, ci fidiamo solo di te!». Chiedono un selfie, un autografo, un bacio.
 E lui perfettamente rasato, la giacca blu di buon taglio e la camicia aperta sul collo, un figurino che Silvio Berlusconi se lo sogna dentro Forza Italia, con il sorriso aperto e sincero, e poi sempre con la parolina giusta e misurata (a Montecitorio, gli vengono riconosciute doti da mediatore democristiano).
 Cori affettuosi per Vito Crimi e per Paola Taverna (la Taverna, di solito, si presenta a Palazzo Madama con gli abiti giusti per una scampagnata: quindi nessuno osava immaginare cosa avrebbe scelto oggi nell’armadio; e, invece, niente di che).
 Che ora è?
Ci siamo.
S’accendo le luci.
«Ecco a voi... Beppe Grillooooo!».




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