domenica 19 ottobre 2014

Il caso San Raffaele: 
stop agli sprechi senza tagli alle cure.


Corriere della Sera 19/10/14
Simona Ravizza
Da qualche tempo fuori dai magazzini del San Raffaele c’è una bilancia. La usano per pesare i cartoni con siringhe, garze e pannoloni che devono essere caricati sui camion diretti in discarica. Siccome lo smaltimento dei rifiuti speciali viene pagato a chilo, è meglio controllare che nessuno arrotondi a scapito dei conti dell’ospedale. Neppure un euro dev’essere (più) sprecato.

Altri tempi sotto la Cupola su cui svetta l’arcangelo Raffaele che, con i suoi 8,3 metri d’altezza, è diventato il simbolo degli sperperi dell’era di don Luigi Verzé. Adesso viene spulciata ogni clausola dei contratti d’appalto alla ricerca di risparmi: l’ospedale è stato acquistato l’11 maggio 2012 dal Gruppo San Donato, che fa capo alla famiglia dello scomparso Giuseppe Rotelli (oggi il figlio Paolo è vicepresidente). Il bilancio è passato da un (profondo) rosso di 65 milioni di euro a un (quasi) pareggio: gli ultimi dati registrano una perdita inferiore ai due milioni.

Così l’operazione di salvataggio è diventata, mese dopo mese, l’emblema di come nella sanità sia possibile tagliare gli sprechi senza ridurre la qualità delle cure. Marco Carrai, manager vicino al premier Matteo Renzi e considerato il suo Gianni Letta, aveva citato l’esempio un mese fa su Milano Finanza : «L’azione di risanamento del San Raffaele ha portato a un livello di efficienza questo istituto che, se fosse preso a benchmark di riferimento per la sola Regione Lombardia, vi sarebbero risparmi nel settore di 1,8 miliardi annui. Considerando che la Lombardia rappresenta il 9% del settore in Italia i conti sono presto fatti». Parole che oggi — mentre Renzi invita le Regioni a ridurre gli sprechi e i governatori minacciano ripercussioni nefaste sulla sanità — sono più che mai d’attualità.

Ma prendere esempio dal risanamento del San Raffaele per i tagli alla sanità significa innanzitutto non dare nulla per scontato. Il nuovo amministratore delegato, Nicola Bedin, insieme con i suoi fedelissimi, s’è reso conto persino, per dire, che veniva pagata inutilmente la pulizia di due piani dell’ospedale: una (piccola) scoperta che gli ha permesso di rinegoziare le condizioni economiche dell’appalto con l’impresa di pulizie. Non è andata meglio alla ditta di telefonia. I due vecchi contratti di fornitura — uno per la rete fissa, l’altro per i cellulari — sono stati unificati ed è stato spuntato un prezzo migliore: ora le telefonate dei medici e dei manager tra i cellulari e i numeri fissi dell’ospedale (e viceversa) sono gratuite. Il servizio di assistenza per i computer è stato internalizzato a costo zero, dirottando lavoratori già assunti. Esempi che si possono moltiplicare: la manovra di rinegoziazione dei contratti d’appalto per la fornitura di servizi (come pulizie, mense, energia) ha portato a un taglio dei costi tra il 10% e il 35%. In euro vuol dire oltre 20 milioni. Solo uno (sui 10 spesi) è stato risparmiato nell’acquisto del gas metano, che fa funzionare il cogeneratore per il riscaldamento e l’elettricità.

C’è una verifica puntuale di tutto ciò che si trova nei magazzini: oggi è impossibile lasciare scadere anche solo una scatola di farmaci. E non viene perdonato neppure l’utilizzo superficiale di materiale da sala operatoria: il volume dei consumi è tenuto sotto controllo e, se i dati si discostano dagli standard, scatta la caccia allo spreco. Trattative serrate hanno portato a prezzi migliori anche per l’acquisto di defibrillatori e pacemaker. La spesa per l’acquisto di beni, in generale, è stata ridotta tra il 10% e il 20%. Il che vuol dire altri 20 milioni.

Quindici milioni sono stati risparmiati — dopo estenuanti trattative sindacali — dallo stipendio dei lavoratori, con una riduzione del 20% dei dirigenti e con un piano straordinario di smaltimento ferie. Insomma: basta premi, superminimi e altri benefit concessi nell’epoca di don Luigi Verzé senza garantirne la copertura economica. La busta paga base, comunque, non è mai stata messa in discussione.

Alberto Brambilla ha scritto su Il Foglio : «Il rilancio del San Raffaele è l’esempio di come si possano applicare criteri di efficienza economica e discernere tra spesa buona e cattiva. La stessa cosa si potrebbe realizzare nella sanità pubblica».

Un auspicio. Ma perché anche un ospedale pubblico possa riuscirci non dovrebbe più avere le armi negoziali spuntate dai lacci delle gare pubbliche e servirebbe una maggiore libertà d’azione nella gestione del personale. E, magari, i manager dovrebbero essere scelti per capacità professionali e non per tessera di partito. Ma questa è un’altra storia.



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