giovedì 16 ottobre 2014

Sinodo 2014: un primo tempo spettacolare ma senza reti. La spaccatura tra progressisti e conservatori, "montiniani" e "ciellini"

Piero Schiavazzi
l'Huffingtonpost 15 ottobre 2014

In attesa di cambiare le regole della Chiesa - non prima del prossimo autunno, quando i vescovi, dopo avere consultato le rispettive basi, torneranno a riunirsi in seduta “deliberante” - il sinodo ha però modificato fin d’ora la geografia. Rimettendo al centro l’Italia, che con l’elezione di Bergoglio aveva subito un brusco ridimensionamento, tagliata fuori dal circuito delle idee e delle decisioni. E rieditando un classico: con il ritorno in grande stile del dualismo Roma - Milano, culminato a fine millennio nel confronto tra i giganti Karol Wojtyla e Carlo Maria Martini.
Con una differenza non da poco. Mentre Roma in passato custodiva la tradizione, Milano promuoveva l’innovazione. Non il contrario, come accade invece stavolta, invertendo i ruoli e scambiandosi le parti di progressista e conservatore.
Paolo VI, in procinto di essere beatificato domenica, non avrebbe mai immaginato che in coincidenza con il lieto evento proprio la diocesi di cui fu vescovo, la più grande del mondo, diventasse per ingrato paradosso il caposaldo dell’opposizione a quel modo di essere - pensare - agire che in gergo ecclesiastico va sotto il nome di “montiniano”.
L’aggettivo descrive in positivo o negativo, a seconda dei punti di vista, un atteggiamento di conciliazione o compromesso con la modernità, spingendosi ad assumere dosi omeopatiche di relativismo, nel tentativo di allargare il recinto della chiesa e includervi ambiti esistenziali, e culturali, rimasti esclusi. Dai divorziati ai gay. Seguendo un criterio di “gradualità”: ricetta magica e slogan dominante del sinodo, dispensato a go-go come un lievito nei discorsi dei padri e nel calderone del dibattito. Nell’auspicio che compia il miracolo, improbabile, di amalgamare un’assise visceralmente divisa. E rimandando al secondo tempo il verdetto di una partita spettacolare ma senza reti, ricca di colpi di scena, con la possibilità che tocchi al Papa stesso, in extremis, scendere in campo e sbloccare il risultato nei supplementari. Ad ottobre 2015.
La farmacia omeopatica intanto, sfrattata da Milano, ha trovato ospitalità in Abruzzo, a Chieti, nel laboratorio dell’arcivescovo Bruno Forte, teologo di fama mondiale ma in odore di sinistra, perciò confinato in provincia da Ruini e richiamato nell’Urbe da Francesco, nella veste di Segretario Speciale, ossia “commissario politico” dell’assemblea. L’ultimo composto di sua fattura, la Relatio post disceptationem, ha biblicamente scosso “fino alle midolla e alle giunture” il corpo ecclesiale, suscitando consensi e contestazioni, con riferimento alla formula che riconosce l’apporto e il talento delle persone omosessuali, a beneficio della comunità dei fedeli. Evidenza che si affaccia per la prima volta in un testo scritto, ma riluce in vero da cinque secoli nei dipinti della Sistina, dove lo Spirito esaltò “le doti e le qualità” di Michelangelo.
Tornando al “montiniano”, l’etichetta riassume l’approccio dubitativo e problematico di Paolo VI, che cinquant’anni dopo ha raggiunto l’apice, anche altimetrico, nell’ormai celebre “Chi sono io per giudicare”, pronunciato in aereo da Francesco. Mai udito prima sulle labbra di un Pontefice.
Sul fronte degli oppositori, la propensione a smarcarsi e fungere da “contraltare”, termine mai tanto appropriato come in questo caso, accompagna da sempre la chiesa milanese, autonoma nel rito e nel calendario, nell’anno liturgico e nel modo di celebrare, detti appunto “ambrosiani”. Versione antesignana e raffinata di federalismo in talare. Ma il passaggio da “capitale morale” a “capitale della morale”, nell’accezione conservatrice seppure non integralista della parola, costituisce un fenomeno nuovo, uscito allo scoperto solo di recente, attraverso i discorsi, gli articoli e le interviste dell’arcivescovo Angelo Scola. L’ultima, illuminante, su Repubblica.
Ne emerge il profilo di una destra “ferma” ma non immobile, che arrocca nella chiusura sulla comunione ai divorziati, ma spiazza con le aperture sulle coppie gay. Una destra fashion, che pratica i linguaggi mediatici e parla di rivoluzione sessuale (“una sfida forse non inferiore a quella lanciata dalla rivoluzione marxista”). Ma anche pragmatica, che ascolta i sondaggi e sprona il governo sulla civil partnership, per scongiurare l’avvento del matrimonio tout court (“siamo stati lenti nell’assumere uno sguardo pienamente rispettoso della dignità e dell’uguaglianza delle persone omosessuali”).
Niente a che vedere con le tesi legnose del cardinale Raymond Leo Burke, capofila teocon, intagliate con l’accetta di un trapper del Wisconsin, da cui proviene. Né con la dottrina difensivista e le entrate dure, ma prevedibili, del confratello Gerhard Müller, prefetto del Sant’Uffizio, che ha definito indegna e vergognosa la “Relatio”. Nemmeno infine con gli argomenti esangui di Camillo Ruini, che spoglio del potere di un tempo si appella al diritto divino, prestando il volto suo malgrado alla “stanchezza” dell’Europa, tratteggiata con sguardo misericordioso e giudizio impietoso da Bergoglio.
Scola, invece, rivendica l’unicità della mens europea ed evoca l’età aurea di Giovanni Paolo II, dando voce alla nostalgia neo – wojtyliana e intercettando, su questa linea, il malcontento di chiese vitali, come quella polacca, che ha pubblicamente sfiduciato l’ungherese Péter Erdő, attuale presidente dei vescovi continentali, nonché relatore generale del sinodo, colpevole di cedimento alle “influenze della ideologia antimatrimoniale”.
Preceduta - e annunciata - dalle incursioni del guastatore Antonio Socci, assistiamo a una controffensiva dell’armata ciellina, nell’intento di rompere l’assedio, dopo avere arretrato per mesi, cedendo posizioni, sotto i colpi congiunti della dirigenza CEI e di Palazzo Chigi. Divisi tra loro ma uniti nell’intento di debellare l’influsso di CL, in politica e tra i vescovi.
Sullo sfondo si intravedono le manovre di “Reconquista” di Palazzo Marino, affidate nel 2016 all’ultimo moicano Maurizio Lupi. Il suo insediamento, unitamente al consolidamento di Scola sulla cattedra di Sant’Ambrogio, renderebbe la città meneghina un monocolore. La “Nuova Gerusalemme”, celeste e terrena, di Comunione e Liberazione.
Con le debite distinzioni, una lettura crossover delle vicende sinodali e di quelle politiche, specie del PD, può aiutare a comprendere il confronto – e conflitto – in atto tra due modelli di comunità ecclesiale, che esula dagli stessi temi della famiglia e guarda oltre, verso il prossimo conclave. Sulle due sponde del Tevere, in suggestiva e pedagogica sincronia, si scontrano due “format”. Da un lato la Chiesa di popolo, che prende il sopravvento sui movimenti. Dall’altra il partito degli elettori, che hanno soppiantato i militanti.
Come il PD, la Chiesa di Francesco aumenta i voti e aliena gli iscritti. Attira i lontani ma disorienta i vicini. Accresce il favore nella massa dei semplici battezzati ma perde consenso tra le schiere dei cattolici organizzati. In una transizione epocale che la storia racconterà con distacco. Ma che i contemporanei, al presente, vivono e combattono con trasporto emotivo. Suonando la carica e andando all’attacco. 

Nessun commento:

Posta un commento