giovedì 16 ottobre 2014

I cari nemici dell’Isis


Ugo Tramballi
Il Sole 24 Ore
15 ottobre 2014
Con una fugace notizia dopo la lunga serie di servizi sulle inondazioni, l’economia nazionale e il cicaleccio politico domestico, ieri sera il TG1 ci ha informati che la bandiera dell’Isis non sventola più sulla collina più alta di Kòbane. Per giorni e giorni il titolo di tutti i telegiornali era stato “Kòbane assediata”; anzi no, “sta per cadere”; meglio, “praticamente caduta”, “ormai arresa”. Stalingrado, Famagosta, Cartagine. E dopo Kòbane, doveva iniziare l’assedio all’Europa. Forse le buone notizie non sono sexy come le catastrofiste.
La città non è stata liberata. Ma nonostante i turchi (che Dio li perdoni) e il califfato (che Dio lo maledica), è ancora lì che resiste. I curdi, fino ad ora gli unici in tutto il Medio Oriente a combattere davvero sul campo, stanno dimostrando concretamente il loro diritto di essere una nazione. Oltre a questo, i peshmerga che sono risoluti ma non così armati, stanno offrendoci un dubbio.
L’Isis è davvero forte sul piano militare o la sua forza è solo data dalla debolezza e dalle divisioni degli altri? Probabilmente sarà difficile sradicare il califfato da alcune aree dell’Iraq e della Siria. Ma non occorreranno decenni per fermare la sua espansione e impedirgli di essere una minaccia regionale e globale. Questo obiettivo potrebbe essere raggiungibile in alcuni mesi, se guardiamo oltre le semplificazioni dei titoli giornalistici.
Il vero pericolo, forse, non è la forza del predicatore al Baghdadi ma il resto del mondo arabo, i turchi e gli iraniani. Quelli insomma che dovrebbero avere tutto l’interesse a sconfiggere il califfo. Per noi occidentali, almeno, è così ma le priorità degli altri sono diverse. Secondo la nostra percezione, l’Isis è il nemico numero uno, il più immediato, nella scala dei destabilizzatori globali. Per gli altri no: gli altri continuano ad essere certi che l’Isis sia un problema secondario, creato artatamente da qualcuno esterno alla regione. E dunque ignorano l’oggi, già attrezzandosi a cosa succederà domani. Come dire: vendono la pelle di un orso ancora vivo e vegeto.
In ogni Paese arabo è molto diffusa la convinzione che l’Isis sia stato creato dagli Stati Uniti. Le spiegazioni offerte sono varie: per far dimenticare l’occupazione israeliana della Palestina, per tenere sotto schiaffo gli arabi, per il classico divide et impera, perché adesso gli americani stanno diventando alleati degli iraniani e degli sciiti. Anche amici arabi, esperti di cose internazionali, intellettuali con i quali mi capita spesso di parlare, la pensano così. E’ una tradizione locale: gli arabi amano trovare sempre un responsabile al quale attribuire colpe che sono anche loro. Il paradosso egiziano è una buona spiegazione di quello che dico: il governo militar-restauratore di al Sisi continua ad accusare gli Stati Uniti di sostenere i Fratelli musulmani. Ma non ricorda mai l’aiuto militare e politico che continua a ricevere dagli americani, e che non si sogna di respingere.
Così, mentre per noi l’Isis è la versione contemporanea del Feroce Saladino (Salah ed’Din fu in realtà un condottiero grande e umano) per gli altri non è così. Per i turchi viene prima impedire uno Stato curdo e la sopravvivenza del regime di Bashar Assad. Per qualsiasi fazione irachena la priorità è il potere della propria fazione. Per l’Arabia Saudita è impedire che l’Iran torni in qualche modo ad essere un amico degli Stati Uniti, e combattere ovunque esista il movimento dei Fratelli musulmani. Stessa priorità condivisa da Emirati ed egiziani. Per sostenere o per impedire che la Fratellanza abbia un ruolo primario, Qatar e turchi da una parte, ed Emirati con egiziani dall’altra, stanno impedendo alla Libia di uscire dal caos. Se il Paese è in questo stato, la responsabilità non è dei bombardamenti occidentali di due anni fa ma della devastante interferenza di Qatar, Turchia, Emirati ed Egitto.
Queste divisioni si sono ripetute perfino alla conferenza del Cairo per la ricostruzione di Gaza. Poiché la striscia continua ad essere controllata da Hamas, versione palestinese della Fratellanza, l’aiuto internazionale non è stato determinato dalle disperate condizioni della popolazione locale ma dall’interesse politico: munifici Qatar e turchi, avara l’Arabia Saudita. Dopo avere avuto aiuti militari e finanziamenti da questi Paesi che ora dovrebbero combatterlo, e continuando a godere di questa frantumazione d’interessi, l’Isis sentitamente ringrazia.

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