mercoledì 29 ottobre 2014

Brasile, Dilma presidente a dispetto dei media

Paolo Manzo 
Europa  
La vera sfida del secondo mandato di Rousseff sarà quella di migliorare le sue capacità di articolazione politica per riunire attorno a sé una coalizione parlamentare in grado di fare ripartire il paese
A leggere la stampa internazionale non sembra che la presidente uscente Dilma Rousseff – candidata del Pt, il partito dei lavoratori fondato da Luiz Inácio Lula da Silva – domenica scorsa abbia vinto l’elezione più combattuta della storia verde-oro, né che la maggioranza dei suoi concittadini le abbia dato fiducia per governare il Brasile sino al 2018. Quasi tutti i grandi media si sono infatti preoccupati di sottolineare elementi “residuali”.
Come ad esempio “lo stretto margine della vittoria” – 3,5 milioni e mezzo di voti non giustificano titoli come “paese spaccato” – o gli aspetti negativi del Brasile targato Pt – la cui vittoria è anche del Partito democratico di Renzi che Dilma l’ha sempre appoggiata.
Con la vittoria di Rousseff su Aécio Neves, il preferito di Wall Street, candidato del Psdb, partito che di socialdemocratico ha oramai solo il nome, The Economist e Financial Times, Le Monde e Cnn – per non dire dei media brasiliani quasi tutti schierati contro Dilma – hanno così scoperto (dei veri Sherlock Holmes) che in Brasile c’è molta corruzione, mancano le ferrovie e, dulcis in fundo, l’economia è “ferma”.
Se questo è il panorama descritto, come spiegare allora l’ennesima vittoria di Dilma, la quarta di fila alla presidenza del Pt? La maggior parte dei “grandi media” ha fatto ricorso a spiegazioni etnico/geografiche ma, anche qui spiace dirlo, hanno preso “lucciole per lanterne”.
Il primo mito da sfatare è infatti che a garantire la vittoria della Rousseff sarebbe stato il Nord-est del paese, la regione meno sviluppata, e dove maggiore è l’impatto dei programmi sociali petisti. In realtà Aécio ha perso perché nel Minas Gerais, da lui governato dal 2003 al 2010, la maggioranza degli elettori, chissà memore della corruzione del suo esecutivo, gli ha preferito Dilma. Se ad esempio avesse ottenuto lo stesso risultato di Fernando Henrique Cardoso a Minas nel 1994, oggi Neves sarebbe presidente del Brasile.
Per i grandi media la vittoria del Pt è dovuta così ad un motivo principale: avere incluso nella società brasiliana oltre 50 milioni di poveri che sino al 2003 erano dei paria, avendo concesso loro micro-crediti tramite la Caixa Economica Federale, luce elettrica con il programma “Luce per Tutti” e case popolari grazie al progetto “Minha Casa Minha Vida”. Per non dire poi del Borsa Famiglia, visto da alcuni come la causa di tutti i mali solo perché dà alle persone con redditi inferiori a 321 reais (circa 100 euro), la possibilità di uscire dalla miseria più nera.
“Voto di scambio” ha scritto chi vede come il fumo negli occhi qualsiasi politica sociale di redistribuzione dei redditi, facendo finta che prima del Pt il Brasile fosse la Svizzera e la compravendita dei voti non ci fosse.
Altri hanno addirittura alluso alla presunta scarsa affidabilità del voto elettronico – se avesse vinto Aécio lo avrebbero fatto? – sottolineando il vantaggio minimo di Rousseff su Neves.
Ridicolo e paradossale perché è stato invece molto positivo che la vittoria di Dilma sia stata “solo” di 3,5 milioni di voti e non di 10. Il motivo? Semplice, questo minor vantaggio contiene un monito chiaro rivolto alla presidente affinché cambi registro, cominciando ad unire come faceva Lula invece di dividere. La vera sfida del secondo mandato di Rousseff sarà quella di migliorare le sue capacità di articolazione politica per riunire attorno a sé una coalizione parlamentare in grado di fare ripartire un paese dalle enormi potenzialità ma, oggi, quasi “fermo” come il Brasile. Il resto sono solo i desiderata di chi a mezzo stampa avrebbe voluto vedere vincere Aécio, il cocco di Wall Street.

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