sabato 18 ottobre 2014

Quei politici nei giudizi di Andreatta 
alla moglie.


Corriere della Sera 18/10/14
corriere.it
Pubblichiamo alcune risposte di Giana Petronio Andreatta — vedova di Beniamino Andreatta (1928-2007), economista e politico, più volte ministro per la Dc e poi nel primo governo Prodi, e tra i fondatori dell’Ulivo —, intervistata da Mariantonietta Colimberti per il nuovo numero della rivista dell’Arel, l’Agenzia di ricerche e legislazione.




«Quando era al Tesoro, Nino fu contattato da Andreotti, che cercò in ogni modo di convincerlo a salvare Sindona. È ormai storia la decisione con cui Nino respinse quelle insistenze. Poi prese le note disposizioni sullo Ior, cosa che pesò sicuramente sui successivi mancati incarichi ministeriali. Nonostante questo ostracismo del suo partito e dei filo-andreottiani, Nino mantenne a lungo un atteggiamento distaccato, e quando qualcuno suggeriva che forse Andreotti era colluso coi mafiosi, negava che fosse possibile, ritenendola una fanfaluca stravagante. Anni dopo, tuttavia, stringendosi nelle spalle diceva: Non so, non mi sento più di escludere niente”».

(…) «Quella della seconda stagione politica di Nino è una bella storia. Nel 1992 fu convinto a candidarsi, per la prima volta, nel suo Trentino per sostituire il suo amico Bruno Kessler, che era scomparso da poco. Non fu eletto (nemo profeta in patria) ed era previsto che tornasse all’Università, tanto che si preparava all’insegnamento con scrupolo e direi quasi con apprensione, come un giovane assistente. Si aspettava, senza recriminazioni di sorta, che la sua esperienza pubblica fosse terminata. Venne Tangentopoli e la Dc aveva bisogno di ministri di specchiata moralità e fuori dal Parlamento, così tornò al governo dopo un decennio. Rinacque. Fu ministro del Bilancio e chiuse la Cassa del Mezzogiorno, poi, nel Governo Ciampi, si spostò agli Esteri e attuò molte riforme importanti. Si impegnò con totale dedizione. Ma ribadisco che rimase sempre presente in famiglia. Faceva di tutto per riuscire a tornare a Bologna anche per poche ore. Agli Esteri lo accompagnai in alcuni viaggi. Alcuni mi colpirono per gli aspetti propriamente turistici, altri per incontri con persone molto speciali. Ad esempio, la famiglia imperiale del Giappone, Bill e Hillary Clinton, i Boutros-Ghali. Mi colpì che in tutti i casi le donne fossero di una levatura superiore».

(…) «Poi venne Berlusconi. Nino sentiva una insuperabile distanza antropologica verso quello che rappresentava. Un modo e una motivazione per fare politica incompatibile con la sua. E un programma di governo un po’ gaglioffo che avrebbe condotto l’Italia nella crisi in cui si trova adesso. La sera in cui Berlusconi vinse le elezioni, si rivolse ai nostri figli e disse tra lo scherzoso e il rassegnato: «Figlioli, la prossima volta le elezioni le vincerà Pippo Baudo, e sarà il nostro candidato». Si impegnò perché il suo partito non venisse sedotto dal berlusconismo, contrastando il segretario Buttiglione, e si adoperò per trovare un’alternativa, convincendo Romano Prodi a farsi avanti. Quella dell’Ulivo fu una stagione breve ma intensa, che generò molti sogni, anche se molti non si sono poi realizzati».

(…) «Dopo la crisi del governo Prodi ci fu però una breve stagione di amarezze, durante la quale Nino fu duramente attaccato per aver avanzato proposte (ad esempio, una più stretta collaborazione tra i partiti del centrosinistra, una più forte partecipazione dei cittadini tramite le primarie, una più efficace azione contro il debito pubblico) che a posteriori sono state adottate, ma che all’epoca parvero troppo radicali. E invece a me pare che se fossero state approvate allora sarebbero state in tempo per fare la differenza».




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