mercoledì 15 ottobre 2014

Grillo alla rincorsa di Renzi si impantana a Genova

Fabrizio Rondolino 
Europa  
Il leader del M5S contestato come un vecchio politicante dagli "angeli del fango", mentre il premier evita la passerella e risponde con i fatti. Tra i due la partita è chiusa.
Mi si nota di più se ci vado (a Genova) o se non ci vado? Beppe Grillo ha optato per il sì, e si è preso fischi, contestazioni e insulti; Matteo Renzi ha preferito di no, è andato invece dagli industriali e ha annunciato un taglio alle tasse mai visto prima. In questa scelta contrapposta non c’è soltanto un’astuzia comunicativa, ma anche e soprattutto un posizionamento politico che sembra oramai irreversibile. Il duello fra Grillo e Renzi si avvia all’ultimo atto, e il comico sta vistosamente perdendo terreno.
Grillismo e renzismo nascono dall’implosione delle classi dirigenti della Seconda repubblica, paralizzate dall’inefficienza e dall’autoreferenzialità. Al “vaffa” radicale e nichilista di Grillo, Renzi ha contrapposto all’inizio il “vaffa” democratico della rottamazione. È partito in svantaggio, perché la crisi verticale della politica genera rabbia e disperazione ed è più semplice (e più efficace in termini di comunicazione) cavalcare e amplificare il rancore anziché indicare – come ha sempre fatto Renzi – uno sbocco riformista che, per quanto nuovo, inevitabilmente insiste nel campo logoro della politica. In altre parole, Grillo ha cominciato cavalcando l’antipolitica mentre Renzi ha cavalcato l’antipolitica per proporre una nuova agenda e una nuova classe dirigente.
Quando Renzi è andato al governo, Grillo lo ha subito messo al centro del mirino: scelta più che giusta, perché gli altri avversari erano ormai usciti dalla scena. In questa seconda fase del duello, il comico ha continuato a suonare la grancassa dell’antipolitica, dipingendo il nuovo presidente del consiglio come la semplice reincarnazione della politica di sempre. Renzi ha invece spostato il cuore della sua comunicazione dalla rottamazione all’ottimismo, dalla denuncia alla “cultura del fare”.
Tutti gli annunci che gli vengono imputati non sono altro che il tentativo di rimettere in moto una macchina – l’Italia – imballata da anni. In questa narrazione positiva, il polo negativo è diventato non solo chi si oppone alle riforme, ma anche e soprattutto chi non ci crede: sono i “gufi”, più che i conservatori, a impedire il cambiamento. E Grillo, continuando ad irridere Renzi, si è posizionato da sé nell’angolo vociante dei gufi.
L’episodio di Genova apre una terza e ultima tappa del duello. E la apre con un paradosso: andando fra i volontari della città distrutta (e per di più con cinque giorni di ritardo), Grillo si è comportato esattamente come un politico della vecchia scuola. «Vieni per fare passerella», gli ha gridato uno studente universitario con la maglietta e le mani infangate. «Ti metti un po’ di fango – ha aggiunto un altro volontario – e ti fai fare le foto, pagliaccio». E incredibilmente Grillo ha risposto: «Che devo fare? Se vi fa piacere prendervela con la politica – ha urlato battendosi le mani sul petto – io sono “la politica”, sfogatevi con me».
Il leader del M5S voleva essere ironico, e sarcastico, e tagliente: ma ha detto una grande verità, una verità percepita sempre più diffusamente dall’opinione pubblica ed esternata con rabbia dai volontari genovesi. Grillo è diventato un politicante: cioè uno che parla, parla, parla e poi non fa niente. Uno che si esibisce di fronte alle telecamere. Uno che gioca ipocritamente sulle disgrazie del paese come un qualsiasi esponente della Casta. Uno che va in giro con la scorta della Digos e le guardie del corpo private che menano i fotoreporter, come è accaduto ieri a Genova.
Simmetrico al Grillo politicante c’è dall’altra parte il Renzi di governo. Anche lui, se fosse andato a Genova, avrebbe preso una valanga di fischi: ma se non ci è andato non è perché ne avesse paura (s’è comunque beccato a Bergamo una dura contestazione della Fiom), ma perché crede – e vuol dimostrare – che il compito di un uomo di governo non è “fare passerella”, ma agire. E poiché l’Italia intera è sotto l’acqua della Grande depressione, ha scelto nelle ore dell’alluvione di presentare la nuova legge di stabilità, cioè una vera e propria terapia d’urto che contiene 18 miliardi di tagli alle tasse e crea le condizioni per una ripartenza.
Gli arrabbiati, gli irriducibili e i gufi ci saranno sempre, e prima o poi ci sarà di nuovo una destra: ma la partita fra Grillo e Renzi può dirsi felicemente conclusa.

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