giovedì 16 ottobre 2014

L’attualità di Papa Paolo VI.


Intervista a Fulvio De Giorgi
di Pierluigi Mele
Il 19 Ottobre,  a Roma, ci sarà la Beatificazione di Papa Paolo VI.  Il grande Papa    del Concilio, e del protagonismo dei laici nella Chiesa e nella Società. Per comprendere l’attualità della sua figura abbiamo intervistato il professor Fulvio De Giorgi, storico del Movimento Cattolico italiano, autore di un’opera su Paolo VI in uscita nel prossimo mese di Novembre.

Professore, domenica prossima, in San Pietro, Papa Bergoglio proclamerà Beato Paolo VI. Qual’è  la lezione “perenne” , per tutta la Chiesa, del magistero di Papa Paolo VI?
Una valutazione storica complessiva del pontificato di Paolo VI e della sua lezione storica “perenne”, come Lei efficacemente la definisce, si lega indissolubilmente al Concilio Vaticano II. Il Concilio infatti, deciso e avviato profeticamente da Giovanni XXIII, rischiava di arenarsi e di fallire, anche per l’emergere di divisioni e contrasti. Fu dunque merito di Paolo VI avere condotto il Concilio alla sua meta, aver realizzato così un ‘corpus’ imponente (per qualità, ma anche per quantità) di documenti innovatori e aver ottenuto su questi documenti praticamente l’unanimità dei vescovi. Il Concilio Vaticano II fu veramente e in molti sensi il Concilio di Paolo VI. Pertanto il giudizio storico sul pontificato di Paolo VI si lega al giudizio storico che si dà del Concilio: se si pensa (come anch’io penso) che il Concilio abbia avuto un’importanza storica straordinaria, realizzando una svolta epocale (che non vuol dire una ‘rottura’) nella storia della Chiesa cattolica, allora pure il pontificato di Paolo VI  ha avuto un’importanza storica straordinaria. I fuochi principali furono, a mio avviso, due: la Chiesa dismise l’atteggiamento anti-moderno che aveva assunto da secoli e abbracciò un sereno dialogo con il Moderno; nel contempo la Chiesa smise di essere etnocentrica, eurocentrica, romanocentrica e divenne veramente una Chiesa mondiale, in cui le chiese locali di periferia non erano più terminali passivi, ma membra attive.
Per gli storici della Chiesa il pontificato di Papa Montini è stato il “pontificato del dialogo”, vedi l’Enciclica “Ecclesiam Suam”, ovvero l’apertura, confermata dal Concilio Vaticano II,della Chiesa al Mondo. Le chiedo: cosa lega l’attuale pontificato di Papa Francesco a quello di Paolo VI?
Sono molti i ‘fili storici’ che legano Bergoglio a Montini e fanno di papa Francesco un vero montiniano. Avrei bisogno di molto spazio e molto tempo per ripercorrere tutti questi fili (legami di Paolo VI con l’America latina e con l’Argentina; il card. Pironio; la conferenza di Medellin; il teologo Gera; e insieme i rapporti di Paolo VI con i Gesuiti, con Arrupe, con la XXXII Congregazione generale della Compagnia, che portò al decreto n. 4, così ‘montiniano’ e così decisivo per capire Bergoglio) e per indicare i documenti di Paolo VI che sono necessari per comprendere Francesco (sicuramente, come Lei osserva, “Ecclesiam Suam”; ma anche “Gaudete in domino” e “Evangelii Nuntiandi”: che sono quasi sintetizzate nella bergogliana “Evangelli Gaudium”). Ma mi devo limitare ad indicare il grande discorso di chiusura di Paolo VI al Concilio Vaticano II, più volte richiamato – esplicitamente e implicitamente – da Francesco. Allora Montini fece vedere come nei piccoli (poveri, sofferenti, bambini) il cristiano vede il volto di Gesù, ma chi ha visto Gesù ha visto il Padre: dunque dall’amore del povero e solo dall’amore del povero si giunge veramente a Dio.
Giovanbattista Montini, prima di diventare Papa, è stato un protagonista assoluto del cattolicesimo italiano. Infatti, la maggior parte della classe dirigente cattolica italiana della Prima Repubblica veniva dalla Fuci di Montini (es. Aldo  Moro).  Le chiedo: si può considerare Papa Paolo VI maestro di laicità?
Indulgendo per un momento alla ‘storia controfattuale’, immaginiamo che Giovanni Batista Montini fosse morto nel 1954 (prima di diventare arcivescovo di Milano e poi papa), ebbene sarebbe stato comunque uno dei grandi personaggi della storia della Chiesa contemporanea! Tra i suoi meriti vi fu pure, non piccolo, quello di aver formato la ‘classe dirigente cattolica’: non quella, come volevano alcuni, che doveva raccogliere l’eredità di Mussolini realizzando un fascismo cattolico, con un’ideologia nazional-confessionale; ma quella (formata nella Fuci e nei Laureati cattolici) di sentimenti antifascisti, ispirata al pensiero di Maritain, che avrebbe costruito la democrazia italiana, con uno spirito di vera laicità. La gran parte dei maggiori Costituenti e uomini politici italiani del secondo dopoguerra era legatissima a Montini: faccio solo i nomi di De Gasperi, La Pira e Moro. Tuttavia vorrei aggiungere che, davanti ad un uomo-mondo quale fu Montini-Paolo VI, non dobbiamo rimanere nell’orizzonte solo italiano. Se dovessi dire quali furono i politici che più si avvicinarono agli ideali montiniani direi, senz’altro, John e Robert Kennedy, che egli incontrò personalmente e stimò.
Anche nel magistero sociale della Chiesa Paolo VI è  stato un innovatore (vedi la Populorum Progessio e l’Octogesima Adveniens). Cosa resta di quel Magistero sociale?
I due grandi documenti, che Lei ha giustamente richiamato, ricollegandosi strettamente alla Costituzione conciliare “Gaudium et Spes” (da Paolo VI fortemente voluta) realizzarono una  ‘svolta’ di portata gigantesca: milioni di cattolici nel mondo che fino allora avevano prevalentemente coltivato ideali sociali e politico-civili di conservazione e di ordine si spostarono su posizioni democratiche avanzate, tendenti alla riforma, alla giustizia sociale e alla pace. Certo nel periodo che va dalla fine del XX secolo all’inizio del XXI, con l’egemonia mondiale del neo-liberalismo (e l’attacco alle politiche di Welfare) tutto questo è stato oscurato. Anche nella Chiesa sono emersi movimenti conservatori e neotradizionalisti che hanno o dimenticato Paolo VI o hanno cercato di dare una lettura conservatrice di quel pontificato: come se fosse stato una sorta di Pio XIII. Letture storiograficamente sbagliate e false. Ma con un chiaro intento ecclesiale: archiviare il Concilio. E con un altrettanto chiaro intento politico: archiviare il cattolicesimo democratico-sociale. Ma la drammatica crisi finanziario-economico-sociale, che ci angustia dal 2007, fa vedere i disastri del neo-liberalismo. E fin dal pontificato di Benedetto XVI si è visto che ciò ha portato ad uno ‘tsunami’ distruttivo anche nella stessa vita della Chiesa e della fede. Come rispondere alla desertificazione neo-liberale dei cuori? Non c’è dubbio: con il Concilio e con Paolo VI. Non parlo perciò del montinismo del passato, che è alle nostre spalle, ma di un necessario montinismo del futuro. È quello che papa Francesco sta cercando di fare. Spero che ci riesca.
Quella di Papa Montini è stata una spiritualità altissima. Che tipo di Spiritualità alimentava la sua fede?
La spiritualità di Paolo VI è insieme semplice – un cristocentrismo evangelico – ma anche complessa a volerne indagare in profondità le fonti bibliche, patristiche, intellettuali e spirituali (Pascal, Teilhard de Chardin, Charles de Foucauld, per esempio). Ma se devo limitarmi a poche battute, preferisco cedere la parola a lui stesso. 
Visitando, primo papa nella storia, la Terra santa, Montini così pregò:

Beati noi se, poveri nello spirito, sappiamo liberarci dalla fallace fiducia nei beni economici e collocare i nostri primi desideri nei beni spirituali e religiosi; e abbiamo per i poveri riverenza ed amore, come fratelli e immagini viventi del Cristo.

Beati noi se, formati alla dolcezza dei forti, sappiamo rinunciare alla potenza funesta dell’odio e della vendetta e abbiamo la sapienza di preferire al timore che incutono le armi la generosità del perdono, l’accordo nella libertà e nel lavoro, la conquista della bontà e della pace.

Beati noi se non facciamo dell’egoismo il criterio direttivo della vita, e del piacere il suo scopo, ma sappiamo invece scoprire nella temperanza una fonte di energia, nel dolore uno strumento di redenzione, e nel sacrificio la più alta grandezza.

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