giovedì 9 ottobre 2014

M5S a rischio implosione traballa la leadership e si apre il fronte filo-Pd


ANNALISA CUZZOCREA
La Repubblica 9/10/14

Grillo resta il megafono, ma si allenta la presa di Casaleggio. Frena la scalata di Di Maio. Il gruppo Ue licenzia lo staff 

Un termometro rotto, col mercurio che schizza da tutte le parti, senza che nessuno possa prevederne la direzione. È così che molti parlamentari a 5 stelle vedono oggi il loro Movimento. Non si tratta più di 15 o 20 dissidenti. I malumori sono molto più estesi, toccano Camera e Senato, si ripercuotono in faide regionali agguerrite (Emilia Romagna e Calabria su tutte), fino a portare al licenziamento collettivo di 15 persone dello staff di Comunicazione al Parlamento europeo.
Grillo resta il megafono, fa appelli per il Circo Massimo, promette che sarà una festa grandissima. Non si è mai occupato dell’organizzazione, però, ed è quella che comincia a mancare. La guida di Casaleggio appare sempre più lontana. Il guru e il fondatore non hanno mantenuto l’impegno di andare a Roma una volta al mese per confrontarsi con i parlamentari. Comunicano sempre di meno, stentano a star dietro ai problemi che sorgono giorno dopo giorno. In mancanza di una linea - mentre ognuno porta avanti i suoi temi senza più coordinarsi con gli altri, né tanto meno con Genova e Milano - più d’uno comincia a pensare che le cose debbano cambiare radicalmente. A partire dall’atteggiamento di chiusura totale con il governo e con il Pd.
Sulle preferenze nella legge elettorale, sulle riforme, sui nuovi ammortizzatori sociali e il reddito di cittadinanza, si fa strada la voglia di andare a vedere le carte. Di aprire un confronto, di tornare allo spirito originario con cui i 5 stelle sono sbarcati in Parlamento. Nessuno, per ora, ha voglia di uscire allo scoperto. E però, negli ultimi giorni, dopo l’uscita del sindaco di Parma Pizzarotti sulla «necessità di confrontarsi sulla leadership», il deputato siciliano Tommaso Currò non esitava a ricordare di aver già posto la questione due mesi fa: «Tutti qui hanno la memoria corta, ma è un problema di cui ho parlato senza che nessuno mi desse retta». E Sebastiano Barbanti diceva chiaro: «Bisogna parlare di come organizzarci. Il movimento non è verticistico, io ci sono entrato per questo, ed è ora di confrontarsi su quello che vogliamo fare. È solo con la contrapposizione delle idee che si cresce». Anche sulle leggi, secondo il deputato calabrese, «bisogna ricordarsi che siamo arrivati qui dicendo che avremmo votato le cose in cui crediamo, senza preoccuparci di chi le propone, senza metterci a cercare il pelo nell’uovo. Io seguo il motto: scegli prima che gli altri scelgano per te». «Le leadership del Movimento sono ben chiare - dice invece Walter Rizzetto - non so se questa sia una naturale genesi, so solo che all’inizio di questo percorso così non era. Sta ad ognuno di noi accettarlo o meno». E nonostante Alessio Villarosa ribatta secco che «i problemi non ci sono, i problemi si risolvono, e abbiamo tutti i margini per farlo», lo scontento e il malumore non hanno fatto che crescere negli ultimi giorni, dopo la pubblicazione della scaletta del Circo Massimo.
Parleranno in pochi, l’ultimo sarà Luigi Di Maio, che passerà la parola a Grillo. Il suo tema è «il governo a 5 stelle», molti l’hanno vista come un’investitura ufficiale. «Sapevo di essere in un movimento, non so neanche cosa sia un’incoronazione, una brutta malattia che si prende stando troppo davanti ai riflettori della televisione?», chiedeva qualche giorno fa il senatore Molinari. Di Maio è il vicepresidente della Camera, ha un seguito non indifferente anche nella base, ma - assicura un dissidente - «in Parlamento è isolato, i talebani si invidiano tra loro e non fanno squadra. La politica non si fa con i generali, si fa con i soldati».
A dimostrazione del termometro rotto, c’è poi la storia del Parlamento europeo. Gli europarlamentari avevano assunto i 15 comunicatori mandati da Casaleggio con i fondi che Strasburgo mette loro a disposizione. Poi però si erano rifiutati di devolvere 1000 euro al mese dal loro stipendio per il funzionamento del gruppo. Ufficialmente, dicevano che stavano cercando il modo giusto di farlo senza violare le regole europee. In realtà, hanno continuato a chiedere a Casaleggio di potersi disfare di Claudio Messora e del suo staff. Arrivato il via libera, si sono informati con gli uffici di Bruxelles e hanno deciso di sciogliere il gruppo condiviso, licenziando così tutti e 15 (qualcuno sarà riassorbito, assicurano dallo staff, ma non ci sono certezze). «La comunicazione ha profuso ogni sforzo nel rispetto dei principi del Movimento - dice a Repubblica Claudio Messora - ha lavorato senza sosta, si è impegnata economicamente nella trasferta a Bruxelles. Prima che 15 persone vengano gettate in mezzo a una strada, meritiamo una motivazione. Ci dicano cosa abbiano sbagliato ».


Nessun commento:

Posta un commento