sabato 4 ottobre 2014

L’accusa del procuratore: 
hai gestito contro le regole quei 170 milioni sequestrati.


Corriere della Sera 04/10/14
corriere.it

Non soltanto le ormai note frizioni nella conduzione delle indagini: Bruti Liberati, nel silurare il suo vice Robledo, per la prima volta gli muove anche una pesante contestazione sull’asserito cattivo uso di soldi. Tanti soldi: 170 milioni — scrive Bruti — dei 460 milioni che Robledo nell’aprile 2009 aveva inizialmente sequestrato (poi il sequestro scese progressivamente sino a 90 milioni) a quattro banche internazionali (Ubs, Deutsche Bank, JP Morgan e Depfa Bank), accusate di aver truffato il Comune di Milano con prodotti finanziari «derivati» che occultavano enormi perdite implicite nel futuro. E il problema non è l’esito del processo istruito da Robledo, passato dalla condanna delle banche in Tribunale nel 2012 all’assoluzione in Appello nel marzo 2014 «perché il fatto non sussiste» (ma dopo transazione valsa al Comune 455 milioni di euro delle banche sino al 2035, di cui 40 già incassati nel 2012).

Il problema è invece che Bruti ora contesta a Robledo di aver depositato nel 2009 i soldi sequestrati alle banche internazionali non sul «Fug-Fondo unico giustizia» (emanazione di «Equitalia Giustizia» chiamata a far centralmente fruttare i proventi dei sequestri), dove dal gennaio 2009 è per legge obbligatorio depositare tutto ciò che viene sequestrato dall’autorità giudiziaria; ma su due istituti brianzoli, la Banca di credito cooperativo di Carate Brianza (nata nel 1903) e quella di Barlassina (1953), «senza che sia stata data motivazione alcuna della scelta di tali banche». In più «Robledo ha nominato diversi custodi giudiziari per gestire quei soldi negli istituti di credito», professionisti dunque destinati a vedersi poi pagare dalla Procura il relativo compenso per gli obblighi e le responsabilità della custodia.

Bruti premette che, fino all’istituzione del «Fug», vigeva in Procura «la prassi» di depositare le somme sequestrate su un conto vincolato presso la banca interna al Palazzo di Giustizia, la Banca nazionale del Lavoro, dove il direttore faceva da custode senza farsi pagare alcun compenso. Nel gennaio 2009 arrivò l’obbligo legislativo di mettere i soldi sequestrati sul «Fug», cosa che nel caso dell’indagine di Robledo non sarebbe avvenuta, fino a quando nel 2012 vennero girati al «Fug» gli interessi maturati intanto nei due istituti brianzoli.

Da «Equitalia Giustizia» — si apprende ora dal provvedimento di Bruti — il 10 luglio 2012 partì una lettera di contestazione a Robledo, rimasta senza risposta: Bruti, infatti, lamenta che Robledo «non ha dato alcuna previa informazione» sulle «discrezionali rilevanti scelte in ordine alle banche e ai custodi, né ha ritenuto di fornire dettagliate spiegazioni dopo che Equitalia sollecitò il trasferimento dei danari al Fug».

Bruti nella lettera non fa conti, ma implicitamente allunga tre tipi di ombre sul comportamento del suo vice. La prima sta nell’aver violato l’obbligo di deposito sul «Fug» dei soldi in sequestro. La seconda sta nel dubbio che, se gli interessi che nel 2009-2012 il «Fug» era in grado di spuntare fossero stati più alti di quelli praticati dalle banche cooperative, lo Stato ci avrebbe rimesso dei guadagni. La terza è che ai custodi giudiziari nominati dal pm sarebbero stati pagati compensi (non indicati nella lettera, ma presumibilmente attorno ai 200-300 mila giacché parametrati sull’ammontare della cifra in custodia) che invece lo Stato avrebbe potuto risparmiare qualora i soldi in sequestro fossero stati affidati alla custodia di legge del «Fug». Per altro verso, brandire questa storia contro Robledo può non essere del tutto gratis anche per Bruti, giacché il fatto che il procuratore segnali oggi una storia di cui è a conoscenza dall’estate 2012 può esporlo indirettamente a rilievi sull’inattività in questi due anni, nonché alla sgradevole impressione di usare solo ora questa vicenda perché funzionale all’attuale resa dei conti con il vice che in marzo l’aveva denunciato al Csm. Forse anche per questa ragione Bruti nel paragrafo finale rimarca che gli accertamenti completi «sono ancora in corso» perché afferma che solo dopo la fine del processo ha potuto cercare attraverso gli atti di avere «una completa ricostruzione della vicenda, specie per quanto attiene alle somme liquidate ai custodi, alla loro attività e al rendimento dei depositi»

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