sabato 4 ottobre 2014

Stati Uniti, disoccupati sotto il 6% 
Mai così pochi dall’inizio della crisi.


Corriere della Sera 04/10/14
Massimo Gaggi

Redditi troppo bassi, difficoltà a trovare lavoro: gli americani si sentono ancora in crisi e tra un mese puniranno Barack Obama, facendo perdere ai democratici le elezioni di «mid-term»: il presidente che nel 2009 ereditò un’economia in coma, è accusato di non aver rilanciato davvero gli Stati Uniti. Ma, visti dall’Europa, i dati Usa fanno esclamare «ce ne fossero di Paesi in crisi come l’America!». Un’America dove — numeri di ieri — la disoccupazione è scesa per la prima volta sotto il 6 per cento (5,9 per la precisione) dalla devastante crisi del 2008, mentre nel solo mese di settembre industrie e servizi hanno creato 240 mila posti di lavoro in più di quelli che sono stati eliminati. Visto che i centri statistici del governo Usa hanno rivisto al rialzo anche i dati di luglio e agosto, cade l’allarme del mese scorso quando sembrava che la velocità di creazione di nuovi impieghi si stesse riducendo: nel terzo trimestre la media è stata di 224 mila posti di lavoro in più al mese, praticamente la stessa del primo semestre.

La Borsa di New York ha festeggiato: 200 punti in più e indice Dow Jones di nuovo oltre quota 17 mila, anche se qualcuno teme che dati così positivi possano ridare fiato, nella Federal Reserve, ai sostenitori di un anticipo dell’aumento dei tassi d’interesse ora previsto per metà 2015. Una prospettiva che ha ulteriormente rafforzato il dollaro sull’euro (il tasso di cambio è ormai attorno quota 1,25, il più alto dal 2010), mentre il prezzo dell’oro è sceso per la prima volta quest’anno sotto quota 1200 dollari.

I dati dell’occupazione sono positivi da diversi punti di vista: industrie e servizi hanno creato più posti di lavoro del previsto (gli economisti avevano stimato un incremento di circa 200 mila unità) nonostante il settore pubblico abbia dato un contributo di soli 12 mila posti e, soprattutto, nonostante il rallentamento delle economie emergenti e la recessione (o stagnazione) di gran parte dell’Europa. Gli Usa, invece, continuano a crescere a un tasso annuo che dovrebbe essere superiore al 3%. Che il motore americano giri meglio di quello della Ue lo sappiamo da tempo, ma quello di ieri, dicono alcuni economisti, è il primo segnale di vero e proprio «decoupling» tra le due sponde dell’Atlantico.

La disoccupazione al 5,9%, lontana dal 10 raggiunto nel momento peggiore della crisi, nel 2009, comincia poi ad avvicinarsi al tasso di senza lavoro (5,2-5,5%) che gli economisti della Fed considerano il punto d’equilibrio ideale tra l’esigenza di andare verso la piena occupazione. Comunque, se la Borsa festeggia è anche perché è convinta che il presidente della Fed, Janet Yellen, non abbia intenzione di cedere alle pressioni dei «falchi» che vorrebbero una stretta monetaria a breve scadenza. La Fed ha già detto di non considerare più quello del tasso d’inflazione un dato esaustivo circa lo stato di salute dell’economia.

E con qualche ragione visto che, nonostante tutti i dati incoraggianti, l’economia Usa mantiene una sua fragilità di fondo: se infatti l’economia delle imprese continua a tirare (i dipendenti delle industrie lavorano mediamente 42 ore la settimana, più che in passato), dal punto di vista degli equilibri sociali le cose vanno meno bene: il calo della disoccupazione avviene in un contesto di ridotta partecipazione degli americani al mondo del lavoro. I cittadini attivi sono scesi ulteriormente al 62,7 per cento (lo 0,1% in meno rispetto al mese precedente) rispetto al 66-67% del periodo pre-crisi. Non solo: i nuovi impieghi, oltre a essere mediamente meno remunerativi di quelli che sono stati soppressi, spesso sono anche a tempo parziale. Il tasso di disoccupazione «allargato», quello che comprende anche i lavoratori che hanno accettato un lavoro part-time ma ne cercano uno a tempo pieno, è molto più alto, anche se pure qui si registra un miglioramento: l’11,8 per cento rispetto al 12 di agosto.




Nessun commento:

Posta un commento