martedì 9 settembre 2014

Renzi: riforme, io non mollo 
Patto del tortellino sull’Europa.

Corriere della Sera  08/09/14
Francesco Alberti

Cambia camicia a metà giornata dopo il primo bagno di folla (dall’azzurro al bianco), e non solo per il sudore, pure copioso vista la temperatura equatorial-padana, quanto per uniformarsi agli altri quattro leader progressisti (il premier francese Manuel Valls, il segretario del Partito socialista spagnolo Pedro Sánchez, il capo dei laburisti olandesi Diederik Samsom e il segretario del Partito socialista europeo, il tedesco Achim Post), che in camicia bianca si sono presentati alla Festa nazionale dell’Unità, e ora che pure Renzi si è messo in bianco, fanno proprio una bella squadra, con tanto di divisa e l’obiettivo di trasformarsi un giorno in un asse capace di arginare in Europa il diesel tedesco e le sue logiche rigoriste. È lo stesso Renzi a dare il titolo: «Il patto del Tortellino». E poco importa che poi, a tavola da «Bertoldo», il premier praticamente non tocchi il famoso piatto bolognese e uno dei suoi ospiti stranieri, per motivi di salute, non vada oltre il brodino. Dettagli. L’importante era rappresentare, anche plasticamente, quella che il ministro Mogherini, futura Lady Pesc, ha definito «una nuova generazione di leader europei»: gente che vede in Renzi, alla luce del quasi 41% alle Europee, un punto di riferimento (scatenato lo spagnolo Sánchez: «Che fortuna per l’Italia avere un premier come Matteo!»), tanto da spingere qualcuno a paragoni impegnativi con «la Terza via» di Blair.

Renzi rivolta come un calzino il decennale copione della chiusura della Festa (dalle 11 alle 20 tra gli stand: altro che tradizionale comizio) e riempie di orgoglio l’anima di un Pd finalmente con le spalle larghe in Europa: «Siamo il più grande partito in ambito comunitario, roba da brividi: se facciamo il nostro mestiere, possiamo cambiare in profondità le politiche del Vecchio Continente» tuona dal palco, attorniato da sei ministri e con la minoranza (Bersani, Cuperlo, Civati) sparsa tra il pubblico. Ma è in casa che si gioca la partita più complicata. L’economia boccheggia, i sindacati mostrano i denti. Nemmeno l’ironia stavolta sottrae il premier alla consapevolezza che la strada è in salita: «Sono 30 anni che qualcuno ci dice “preparatevi ad un autunno caldo”… Non sottovaluto le difficoltà, siamo pronti a fare scelte difficili e a prenderci le responsabilità». E qui il tono cambia: «Ma basta con i gufi, con questa storia della luna di miele che sarebbe finita: nessuno fermerà il cambiamento». Renzi sente le critiche, ne soffre e reagisce. Nel mirino finiscono «quei tecnici cresciuti nell’ombra della Prima Repubblica, incapaci per 20 anni di leggere Berlusconi e che ora ci raccontano che gli 80 euro sono un errore perché i consumi non sono cresciuti. Sbagliano, gli 80 euro sono un atto di giustizia sociale prima che economica: non accettiamo lezioni». Schema collaudato: Renzi contro l’apparato, contro la palude burocratica e salottiera. Sa di giocarsi tutto: «In ballo – esclama — non c’è il mio destino, ma quello del Paese». Anche per questo si copre sul fronte interno dopo che nel Pd hanno ripreso fiato le voci critiche (D’Alema innanzitutto). Lancia un ponte alla minoranza interna («La nuova segreteria sarà unitaria»), riconosce uno degli argomenti cardine degli oppositori («Un segretario, da solo, non può fare nulla»). Ma pone due precisi paletti: «A nessuno spetta un diritto di veto e se qualcuno cerca rivincite dovrà attendere fino al 2017». La prova del nove restano quelle riforme «da taluni considerate inutili», ma che costituiscono la ragion d’essere del governo: «Non mollo di mezzo centimetro. Anche se con modifiche, sia quella elettorale che quella costituzionale andranno avanti: dimostreremo che la politica sa decidere». Una strada, butta lì, non casualmente, indicata dallo stesso presidente Napolitano, «che ha sopportato una campagna indecente e indecorosa per essere stato costretto a dare una mano agli italiani». E poi c’è la scuola, altra trincea. E qui Renzi affronta a modo suo alcuni dei totem del Pd: «Il merito, il talento e la qualità sono di sinistra» tuona. Sbagliato pensare che la ricetta passi da una riduzione dei salari: «Noi vigileremo sui 300 miliardi del piano Junker e controlleremo che i soldi della Bce alle banche vadano a sostegno delle imprese». Infine il capitolo delle primarie in Emilia Romagna, sfida tutta renziana tra Stefano Bonaccini e Matteo Richetti (con Roberto Balzani come outsider ). Il premier avrebbe gradito una soluzione diversa, ma abbozza: «Hanno fatto un bel casino, l’importante è che non litighino, sono bravi ragazzi…».




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