martedì 9 settembre 2014

Caselli e Guzzanti, quei paladini 
della «trattativa» ai ferri corti sul film.


Corriere della Sera del 08/09/14
Pierluigi Battista

Quella scena così beffarda non ha potuto sopportarla. E perciò Gian Carlo Caselli ha scritto una lettera furente e puntigliosa al Fatto quotidiano per dire che la fiction di Sabina Guzzanti nel film «La trattativa» è offensiva e bugiarda. Caselli fu raffigurato nel «Divo» di Paolo Sorrentino come un tipo vanesio e fatuo che si passa la lacca sulla sua chioma candida. L’ex capo della Procura di Palermo ne fu ferito, ma incassò. Oggi in una scena clou del film della Guzzanti appare come uno sprovveduto che si fa abbindolare dai carabinieri di Mori per non perquisire il covo di Riina. Un oltraggio. Uno sfregio che viene da un mondo che pure dovrebbe apprezzare Caselli. Un’icona dell’antimafia messa alla berlina da un film sui rapporti «indicibili» tra mafia e Stato. Caselli non poteva ingoiare un simile affronto. E sul Fatto di ieri lo ha dimostrato con indignazione.

«Gentile direttore», ha scritto Caselli, «raccontare con tecnica da “cabaret” la pagina grave e oscura della mancata sorveglianza (certamente non addebitabile alla Procura) e della conseguente mancata perquisizione del covo di Riina è offensivo e non può cancellare né far dimenticare gli importanti positivi risultati ottenuti in quei sette anni di duro e pericoloso lavoro degli Uffici giudiziari palermitani, in stretta collaborazione con le forze di Polizia». E qui Caselli elenca con meticolosa completezza i colpi inferti alla mafia negli anni della sua gestione della Procura di Palermo: i boss arrestati, i processi conclusi, i beni confiscati. Anche le indagini su Dell’Utri e su Andreotti, che pure hanno suscitato molte controversie ma che rappresentano altrettanti fiori all’occhiello di un’attività giudiziaria che invece viene presentata dal «cabaret» della Guzzanti come un addensarsi di ombre, una sequenza di cedimenti che avrebbe inquinato e macchiato tutti gli anni della cosiddetta Seconda Repubblica. Una visione estremista e oltranzista che Caselli non può accettare e far passare sotto silenzio, se non correndo il rischio di veder appiattita e misconosciuta tutta la sua attività di contrasto alla mafia.

Un rischio troppo grosso. Caselli credeva forse che nel mondo del Fatto, l’organo di stampa che ha fatto della cosiddetta trattativa Stato-mafia un cavallo di battaglia, un dogma, il momento centrale del romanzo criminale che avrebbe fagocitato la politica italiana, lasciando sola la Procura palermitana nella guerra santa del Bene contro il Male, Caselli credeva dunque che la reputazione sua e degli uffici giudiziari palermitani da lui diretti per ben sette anni sarebbe stata difesa. E invece nell’intervista-spettacolo che Sabina Guzzanti ha dato a Marco Travaglio durante la festa del Fatto a Marina di Pietrasanta, il condirettore del giornale, mandata sullo schermo la scena in cui Caselli si fa manovrare dai «trattativisti» che non vogliono perquisire il covo di Riina, ha derubricato il tutto a mera «licenza poetica»: giusto un colore un po’ più acceso per dare pregnanza spettacolare e narrativa ai fatti della storia. Troppo poco, deve aver pensato Caselli. Il quale, negli ultimi tempi, ha pure avuto qualche motivo di attrito con il mondo della sinistra di cui la Guzzanti, prima ancora del Fatto , è espressione. L’attrito per l’inchiesta sui No Tav e per la scelta di Magistratura democratica di pubblicare sull’agenda 2014 uno scritto di Erri De Luca troppo «tenero» con la deriva violenta di una parte del movimento. L’attrito, negli ultimi giorni, quando Caselli ha ricordato il silenzio degli intellettuali compiacenti mentre la magistratura combatteva contro il terrorismo. Attriti, peraltro, compensati dall’appoggio che Caselli ha ricevuto dal Fatto nella polemica che lo ha contrapposto a Pietro Grasso appena eletto presidente del Senato. Ma che però non hanno cancellato le tensioni che il tema della eventuale, problematica, immaginata trattativa Stato-mafia ha generato, soprattutto quando la polemica con il presidente della Repubblica si è fatta incandescente. Ora il «cabaret» offensivo della Guzzanti, che chissà quali brecce di sospetto aprirà tra gli spettatori più inclini a far propri gli assunti della fiction guzzantiana, più ardentemente certi della veridicità delle presunte nefandezze della ignominiosa «trattativa». Uno strappo. Un’offesa. Non c’è concordia tra le forze del Bene.




Nessun commento:

Posta un commento