venerdì 26 settembre 2014

Parisi e la spallata a Prodi 
«Era chiaro che da pm lui cercava solo visibilità».


Corriere della Sera 26/09/14
Francesco Alberti

Delle tante spallate che accorciarono l’esistenza del secondo governo Prodi (2006-2008), già nato fragile, l’inchiesta «Why not» è da molti considerata quella che diede il colpo di grazia all’esecutivo del Professore bolognese, che in quella vicenda entrò come indagato da premier nel 2007 per uscirne nel 2009 completamente pulito: «Credo che la giustizia trionfi sempre, non ho mai gridato al complotto, ho sofferto, questo sì, in silenzio...» commentò all’epoca dell’archiviazione Prodi (e con lui uscì dall’inchiesta anche Sandro Gozi, allora deputato e ora sottosegretario alla presidenza del Consiglio). Arturo Parisi, 74 anni, amico del Professore da una vita, in quel governo era ministro della Difesa e, alla notizia della condanna del pm di allora e adesso sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, non ha fatto una piega: «Nessuna meraviglia, abbiamo sempre pensato che si trattasse di un’inchiesta infondata e priva di giustificazione».

Professor Parisi, c’è chi ritiene che iniziò da lì la caduta del governo Prodi: è d’accordo?
«Di sicuro “Why not”, per il momento in cui emerse e per le modalità con le quali venne condotta, contribuì a rendere ancora più elettrica l’atmosfera, amplificando tensioni esistenti, ma non fu la causa principale della fine dell’esecutivo».

Eppure Mastella, allora Guardasigilli, indagato e poi uscito dall’inchiesta, si dimise.
«A quanto ricordo, era destinatario anche di altre iniziative...».

Ritenendola infondata, si è mai chiesto su quali basi abbia potuto prendere corpo un’inchiesta che puntava così in alto?
«Credo che la molla primaria sia stato il desiderio di visibilità di de Magistris».

Prodi, così come lei che faceva parte del governo, non avete mai gridato al complotto. Ora i fatti vi danno ragione, ma sono passati anni: rimpianti?
«Chiunque agisce sulla scena pubblica deve essere preparato a rispondere alle domande dei cittadini e di chi le pone nel loro interesse, e mi riferisco alla magistratura così come ai mass media».

Una posizione non da tutti condivisa...
«Talvolta è una croce pesante da portare, ma va accettata. Deve essere però anche chiaro che chi pone le domande deve essere a sua volta preparato a dar conto del perché e del come ricerca le risposte. Non è ammissibile che la sola domanda sia indizio di colpevolezza. Meno che mai è ammissibile che chi indaga agisca per fini e con mezzi contrari alla legge e all’interesse pubblico».




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