lunedì 8 settembre 2014

Renzi chiude la Festa. E le polemiche nel Pd

Stefano Menichini 
Europa  

Un forte segnale di leadership europea, messaggi di unità e affetto a tutti i dirigenti del presente e del passato. Così il segretario spegne ogni focolaio interno. Mentre da premier si conferma deciso a non fermarsi né frenarsi.
Dovessimo giudicare dai fotogrammi della giornata finale della Festa di Bologna, potremmo trarre almeno una conclusione: tra le molte cose di cui Matteo Renzi dovrà preoccuparsi nei prossimi mesi, non ci sono gli equilibri interni al Pd.
Durante il suo discorso, il segretario è passato con grande agilità e sicurezza sui temi che sembravano tornati d’attualità alla fine dell’estate: le critiche degli ex leader, un filo di malumore sulle scelte di governo, il fastidio di ex concorrenti come Cuperlo e Civati che si sono sentiti trascurati. Partita chiusa prima che si riaprisse uno spiraglio. Messaggi di simpatia e affetto verso tutti da parte di Renzi, i più marcati per Bersani e per Vasco Errani (autentici momenti di commozione per l’ex presidente dell’Emilia Romagna).
Renzi fissa al 2017 anche questa scadenza, l’eventuale “rivincita” interna: si svolgerà col prossimo congresso, non un giorno prima. Parte così un altro count down, perfino più lungo di mille giorni. Intanto, chi vuole «cominci anche domani a dare una mano al governo».
Ogni angolo polemico interno comunque è smussato, le primarie emiliane tra renziani saranno un bello spettacolo, venerdì sarà nominata una segreteria unitaria. Chiarissimo il messaggio: il presidente del consiglio non vuole lasciare scomodi conflitti irrisolti alle proprie spalle.
Il popolo della Festa sembra colpito dallo show eurosocialista allestito a Bologna insieme a Valls, Sanchez, Post e Samsom, avendo accanto Federica Mogherini. Da sempre, ai militanti di sinistra piace vedere i propri leader al centro di relazioni internazionali importanti, ma Renzi dà nettamente l’idea di essere alla testa di questa pattuglia di nuovi dirigenti in maniche di camicia. E questo in epoca recente non era mai riuscito a nessun italiano, in questi termini, nonostante la vocazione europea di gente come Prodi, Letta o D’Alema.
Anche questo segnale di leadership continentale contribuisce a chiudere sul nascere ogni problema interno, o almeno così dovrebbe essere.
Tutto il resto, cioè risultati e salute del governo, va consolidato. Da Bologna non è arrivato nulla di diverso o di nuovo sul fronte delle misure da prendere. Il messaggio di Renzi è sempre lo stesso, la propria determinazione, la promessa di non farsi fermare o frenare da nulla, il rinvio al mittente delle critiche più preconcette e di quelle di chi viene addirittura «dalla Prima repubblica» e non ha saputo vedere l’avvicinarsi della crisi.
Si conferma l’apertura a una modifica della legge elettorale per introdurre o i collegi (soluzione preferibile e preferita, ma difficile) oppure qualche forma limitata di preferenze. E si tiene ferma la centralità degli interventi sulla scuola, sui quali si vorrebbe dirottare una parte consistente dei 300 miliardi strappati a Juncker al momento di dargli via libera come presidente della Commissione europea. Altre destinazioni: banda larga e risanamento ambientale del territorio.
Dallo sprezzo verso cenacoli tipo Cernobbio alla sfida verso i sindacati, per finire rivendicando la volontà di introdurre il merito nella scuola e nella pubblica amministrazione: il Renzi di Bologna torna simile al Renzi delle Leopolde. L’unica frase che si possa estrarre dal discorso in forma vagamente sloganistica è «il merito è di sinistra, la qualità è di sinistra, il talento è di sinistra. Io voglio stare dalla parte dell’uguaglianza non dell’egualitarismo». I democratici della Festa applaudono, eppure questi non erano concetti scontati fino all’altroieri.
Il fatto è che finché nella casella “consenso” rimarrà quel 40 abbondante per cento, con sondaggi personali ulteriormente in crescita per il premier-segretario, sarà molto difficile aggiungere una riga significativa a uno dei capitoli tradizionalmente più appassionanti della cronaca e del gossip di Palazzo. Quello intitolato “Il Pd si divide”.

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